domenica 26 aprile 2015

Il mio Cammino di Santiago (5)

 
18 ottobre

La tappa di oggi ci ha portato da Sanguesa a Izco (22 km).
Cammino con Stephanie, Andrea e Sergio. Passiamo dalla Foz de Lumbies e le sue gole attraversate dal fiume Aragon. Ci sono decine di grifoni appollaiati sulle cime. Ogni tanto partono in volo e volteggiano sopra alle nostre teste.
Giornata piena di discorsi con le giovani ragazze  e di pause nel cammino. Sono pause gradevoli ma già da stamattina mi è stato chiaro che non saremmo giunti a Monreal, alla meta prevista.
Faccio le mie prime foto con una macchinetta fotografica usa e getta

Bello il Puente de Jesus - oppure chiamato del Diablo… - e bella anche la sua storia.
Sporgersi sul ciglio del baratro che si apre fino al fiume verde che scorre in basso è piuttosto impressionante. Tengo le mie energie nei piedi per evitare capogiri.
Lì vicino c’è anche uno strettissimo tunnel scavato nella roccia. Si cammina a tastoni nel buio più completo finché, fioca fioca si comincia a intravedere l’uscita luminosa.

Alla sera, nel paesino di Izco semi deserto, un piccolo rifugio viene aperto solo per noi e per una coppia di tedeschi, Christa e Peter - che avevo già incontrato a Jaca - che ci raggiungono.
Cucino la pasta per tutti e siamo molto allegri.

Rispetto alle due compagne di viaggio penso questo: Stéphanie è una ragazza intelligente e discreta e forse cammineremo insieme ancora un po’. Ha solo 22 anni e devo fare attenzione. Andrea mi sembra più scafata anche se non più matura. È nervosa e intelligente. Non credo che faremo molte tappe insieme.

Nella notte sogno una katana, una spada giapponese e sogno di estrarla dal fodero con abilità e destrezza. Mi risveglio con il desiderio di praticare l’Aikido.



                                                     
                                         Stephanie

20 ottobre

Da Tiebas a…

Vento. Vento teso e fortissimo nelle pianure dolci e ondulate.
Mentre cammino penso tanto e liberamente.
Non sono qui per vivere piccole avventure e sento un senso di responsabilità verso Stephanie che è così giovane. Andrea si è fermata per un forte dolore al tendine. Non credo fosse veramente decisa a intraprendere il cammino. L’ultima immagine che ho di lei: è seduta su un altalena su cui si lascia un po’ mollemente ciondolare. È lì magra e bruna che ci saluta con la mano mentre ci allontaniamo. Credo sia un po’ triste e sola ma noi dobbiamo andare avanti.
Intorno i cantieri e le cave sono molti e ci sono camion e rumori di motori.
Ma il suono del vento è emozionante e le poiane si librano sopra alle nostre teste lasciandosi trasportare da lui.
Ieri sera c’è stato un temporale fortissimo accompagnato da un vento tempestoso che è durato tutta la notte. Ho dormito bene e i sogni, di notte in notte, diventano più gradevoli. Sono molti gli amici e le figure del passato che riemergono dai miei sogni. Vengono a visitarmi anche personaggi che non ho forse mai incontrato prima ma che ho la sensazione intima di conoscere benissimo…
Qualche notte fa ho sognato una persona di una qualità particolare: magro, altissimo, diritto, con un ki potente e un portamento maestoso e quasi divino. Scuro di pelle - africano? -  se ne stava silenzioso a fissarmi con i suoi occhi lucenti come scintille. Lo vedo ancora bene, un po’ in alto rispetto a me, immobile su una collinetta con qualche alberello alle spalle. La qualità della sua presenza mi emoziona ancora adesso. Nessuna parola, forse solo il suono del vento e il suo sguardo così significativo e luminoso. So che lui ritornerà nei miei sogni e anche che riapparirà durante il mio cammino e nella mia vita…
Mi chiedo che cosa posso fare di buono per Stéphanie per aiutarla a intraprendere questo lungo sentiero. Mi sento un po’ la sua guida e non so se sono in grado di esserlo.
Tra poco giungiamo a Eunate…



                                      Stephanie si avvicina ad Eunate. Non c’è nessuno oltre a noi.


ƒm

La chiesa ottogonale di Eunate mi impressiona moltissimo! Tutto ruota così vertiginosamente intorno ad un centro possente e tranquillo…
Fuori soffia un vento impetuoso mentre io e Stéph ci accingiamo ad entrare.
Ci è stato detto che bisogna osservare un certo cerimoniale prima di entrare in questo luogo sacro e ci atteniamo con piacere… Bisogna fare tre giri in senso antiorario fuori dal colonnato circolare e poi tre giri all’interno delle colonne. Senza pretese di comprendere altri significati esoterici non alla mia portata osservo che questo rituale è un’occasione per prenderci e darci il tempo di entrare non troppo spensieratamente in un luogo così particolare.
Mi fermo ad osservare le finestre… Di che materiale sono fatte? Marmo bianco che lascia passare la luce in trasparenza?
Sui lati superiori della porta da cui scegliamo di entrare - non è l’unica - due figure antropomorfe dai lineamenti terribili e mostruosi ci fissano con le fauci minacciose e gli occhi stralunati. Sono scavate nella pietra e si confondono con essa.
All’interno tutto è immerso in una quieta penombra e l’atmosfera è calda. Invita alla meditazione e al raccoglimento. La cupola centrale è grande e accogliente, le travi che la sostengono descrivono otto fortissime direzioni: le otto direzioni dell’Universo? La vergine Maria dietro all’altare, con Yeshua “Ego Sum” è davvero semplice e pura…
Siamo soli per tutto il tempo di questa sosta un po’ mistica e carica di storia.

mercoledì 22 aprile 2015

Il mio Cammino di Santiago (4)



                                     

                                                       Chi di noi due è l’albero secco? E chi vive?

16 ottobre

Sto scrivendo da Ruesta e sono le 6.09 del pomeriggio. Non so perché ma ho voglia di annotare l’ora. Stamattina ho lasciato Arres insieme ad Antonio, un catalano di Barcellona nato però a Caracas. È una persona mite e gentile che desidera camminare tranquillamente e senza fretta. Parliamo in spagnolo, lui me lo insegna ed io vorrei impararlo almeno un po’. Marciamo con la pioggia in un paesaggio collinoso ma quasi desertico con un lungo sentiero che si snoda davanti a noi a perdita di vista. Questi sono i primi giorni di cammino di Antonio, ha le gambe - las piernas - che gli fanno male. È quindi inutile forzare e procediamo senza pensare troppo all’orario di arrivo. Lui si fermerà ad Artieda (dopo 18 km) mentre io dopo un leggero pranzo continuerò nel pomeriggio fino a Ruesta (28,5 km). Il barro, fango argilloso, si attacca alle scarpe raddoppiando il peso dei nostri piedi e lo sforzo per alzarli. Ridiamo evocando gli evasi che fuggono con le catene ai piedi. Il paesaggio ed il clima si addicono ad uno scenario di questo genere. Dune di sabbia grigia e scura, ondulate e rotonde, scavate ed erose dall’acqua. Incontriamo una volpe, el sarro. 
Ad Artieda ci accoglie Raquel, giovane e allegra che parla veloce veloce ma con un bel accento. Non è molto bella ma attira molto e in modo naturale. Mi sembra di piacerle e anche lei mi piace ma non tardo ad accorgermi che in fondo alla stanza c’è anche un giovane ombroso e un po’ strano che mi guarda. Ha i riccioli bruni e il corpo ben piantato e robusto. Credo che sia il ragazzo di Raquel, ci manca solo di scatenare la gelosia di uno spagnolo del genere… Meglio proseguire per il mio cammino! Prima di partire però lei mi chiama: “Giovanni!”. Dice che un italiano che ha conosciuto le ha insegnato questa frase, che pronuncia in italiano: “Sii te stessa e nessuno potrà mai dirti che sbagli nel farlo”. Penso che le spedirò una cartolina nei prossimi giorni scrivendole: “Sii te stessa e Dio continuerà a risplendere gioiosamente nel tuo cuore”.
Insieme ad Antonio, prima di lasciarci, siamo stati nel piccolo fumoso bar di Artieda, pieno di giovani con orecchini e capelli lunghi. Ci siamo stati un’ora e questo è l’unico ritrovo del villaggio. Si entra da un portoncino di legno e fuori non  c’è nemmeno un’insegna. Gli abitanti di qui sembrano un po’ montanari e sospettosi ma non sono antipatici. L’atmosfera è strana e particolare, niente a che vedere con la Francia o l’Italia, un po’ esotica per me. Sono contento di essere qui. Il villaggio conta poche case. I villaggi, in questa regione sono tutti in altura e dominano delle valli solitarie, selvatiche e quasi spoglie. C’è il senso dello spazio.
Lascio Artieda alle 15 e cammino molto speditamente sotto alla pioggia battente che ormai non mi spaventa più. Intorno alle 17 arrivo in un luogo sacro e mistico. Il luogo che finora, da questo punto di vista, mi ha colpito di più. È l’Ermita de San Juan Bautista. Una chiesetta antica di pietre di cui rimane intatto solo l’abside e i muri perimetrali. È circondata da i pini che diffondono un profumo tipico che mi fa pensare a Saint Michel du Var. Al posto del tetto, crollato chissà quando, è stata posta una provvisoria (?) tettoia metallica che protegge dalla pioggia chi entra nell’Ermita. L’ingresso è costituito da uno splendido portale ad arco. All’interno tutto è quasi magico anche se da fuori proprio non si direbbe. I pellegrini e i passanti hanno impilato tanti sassi grandi, piccoli e piccolissimi. In fondo, sotto l’abside, sta una solida croce costruita con tre grandi pietre, poi ci sono piccoli altari e, sul suolo, un crocefisso commovente tutti costruiti di sassi e di pietre. Gesù ha delle lunghe braccia molto accoglienti. Le piccole pietre colorate mettono in risalto tanti dettagli del suo corpo. Che bello tutto questo! Cammino tra i sassi incantato. Anch’io cerco delle pietre fuori e in mezz’oretta ne porto dentro diverse. Costruisco per terra nel centro della chiesa, a sinistra dell’ingresso, una grande croce ortodossa che oltre al tratto verticale e quello orizzontale delle croci comuni ha un altro tratto orizzontale più piccolo in basso che ha la caratteristica di pendere verso destra (destra per chi l’osserva). Pende verso il cuore verso cui tutto finisce per tendere. Lì ho posizionato una pietra rossa.
Ora scopriamo l’Albergue di Ruesta. C’è del mistero, qui…



                                Il portale d’ingresso dell’Ermita de San Juan Bautista con la mia croce ortodossa.


17 ottobre

Me ne sono accorto questa mattina mezzora dopo la partenza da Ruesta…
Ho lasciato sul letto a castello la mia conchiglia! Non l’avevo da molto ma è stato immediato il senso di mancanza e di perdita che è ho provato. Chissà, forse Antonio la riconoscerà e potrà prenderla. L’idea che la potrà tenere lui mi consola un po’. Come ci si affeziona alle cose e agli oggetti… io ne so qualcosa perché ho passato la vita a caricarli di simboli, di ki e di valore affettivo. Per fortuna poi le cose si rompono e si perdono, sgravandoci così di un peso eccessivo. Questa conchiglia è la prima cosa che perdo in questo cammino e come simbolo non è male. Ne cercherò un’altra da appendere allo zaino?
Ora voglio parlare subito del piccolo miracolo di ieri. Sembra proprio che i miracoli si ripetano senza sosta. O forse è soltanto che si impara a dare un altro valore alle cose e agli incontri? Che si è un po’ più aperti rispetto alle cose che ci accadono e che si finisce per apprezzarle di più?
Avevo appena finito di scrivere e riposto il mio piccolo quaderno nello zaino. Stavo in una stanza spoglia con i muri di pietra gialla, una panca e un tavolo di pietra. Una specie di anticamera di attesa per chi come me arriva troppo presto e trova ancora chiuso l’ostello dove deve passare la notte. Nessun segno di persona, un silenzio di tomba rotto solo dal suono della pioggia che continuava a cadere incessante. Mi sono guardato intorno per ingannare il tempo e ho visto una piccola porta di legno in fondo alla stanza. L’ho aperta, dava su un’altra stanzetta che conteneva solo due cose. Una sedia di legno e sulla sedia un rotolo di fogli di carta vetrata! Proprio quella che cercavo per levigare la mia pietra… Ne ho presi tre fogli senza nessun senso di colpa per il fatto che mi impossessavo di qualcosa che non mi apparteneva. Ero stupito, quasi non ci potevo credere che in quel posto dove non c’era quasi nulla trovavo proprio quello che cercavo. Tuttavia qualcosa in me mi diceva che in fondo non c’era proprio nulla di strano e che quei fogli di carta abrasiva non erano lì per caso e aspettavano proprio me. Qualcuno pensa a noi… bella sensazione.
 
Ruesta è un paese diroccato che sembra sulle prime abitato da fantasmi. Poi si scopre che è abitato da una comunità di sindacalisti anarchici che, con l’aiuto di giovani volontari, lo stanno restaurando. È tutto sommato un luogo strano, popolato da persone piuttosto chiuse e talvolta sgradevoli. Penso per esempio a un grasso signore dalla tosse invadente e ostentata che ho incrociato stanotte nei bagni che già di per sé sono stretti e poco accoglienti. Ha fatto i suoi bisogni evacuando di tutto e da tutte le parti in modo rumoroso e volgare proprio a fianco di me che cercavo di fare una doccia tranquillo. Era l’una di notte. Stamattina, alle 6.30, mi sono rifugiato nel bagno delle donne per evitare di incontrarlo.
Ieri sera ho incontrato due amanti lesbiche basche e ho cenato insieme a loro. Sono qui per qualche giorno di vacanza e hanno nomi baschi difficili da ricordare. Una si chiama qualcosa come Estivalis che abbreviato suona Esti, ha un profumo che conosco bene, gli occhi vivi e molto sentimento. L’altra del cui nome ricordo solo che comincia con la G. è più dura e maschile ma comunque aperta e curiosa. Tra di noi la corrente è passata forte e mi hanno chiesto molte cose del mio viaggio. Così, bevendo rhum e fumando marijuana, abbiamo parlato di cose semplici e complicate in modo molto piacevole. Tema centrale della serata: el corazon. Da qualche parte sapevo che a Ruesta avrei incontrato delle donne, ne sentivo già da prima il profumo… E infatti…
Nella notte, sul letto su cui ho lasciato poi la conchiglia, ho fatto uno di quei sogni che non si dimenticano. C’erano grandi donne africane nere, grasse e ridenti. Con una di loro ho fatto l’amore ma soprattutto sono rimasto incantato a guardarle la vagina che in realtà era una specie di possente cratere vulcanico. Che eruttava con tanto di lapilli, lava e lingue di fuoco!

Ora sono a Sanguesa in Navarra.
Sedute davanti a me ci sono tre belle ragazze giovani e intelligenti che consumano la loro cena parlando animatamente. Non ci conosciamo ancora, ascolto i loro discorsi in inglese e tra poco faremo amicizia. È così facile qui!
Cammineremo insieme domani?

Due di loro sono svizzere, Silvia e Andrea, l’altra è un’olandese con i capelli rossi e le lentiggini.
Non posso capacitarmi di quanto sia bello incontrare tante persone diverse.
Questo cammino è contrassegnato da picchi di entusiasmo, come ieri sera, a cui fanno poi seguito delle discese che però non sono mai brutali. C’è sempre spazio per il nuovo, che si ripresenta continuamente, e il tempo si adatta ai nostri bisogni non noi ai bisogni del tempo. Tutto scorre in modo vitale.

domenica 12 aprile 2015

Credo davvero..

"Credo davvero che il movimento rigeneratore (katsugen undo) e l'aikido della Respirazione siano accessibili a tutti. Non sono pratiche per orientalisti, marzialisti o persone piene di talento nelle discipline sportive o energetiche. Vorrei vedere al dojo sempre più persone semplici, accompagnate da figli o genitori, dalla vicina della porta accanto o dalla nonna che si sente un po' sola. Ci vorrà ancora un po' di tempo, forse, ma prima o poi tutte queste persone verranno ad Akeleinaa. E' il motivo per cui ho creato questo luogo. Quello che pratichiamo insieme non è in alcun modo una tecnica. E' solo la riscoperta di come la vitalità si esprime attraverso il nostro movimento naturale. Questa vitalità si esprime in ciascuno di noi in modo unico e i movimenti che possono ridarci equilibrio e piacere di vivere non possono essere insegnati: nascono da dentro, spontaneamente. Riappropriarsi di questa consapevolezza, quella che tutti i bambini hanno, significa anche poter apprezzare pienamente la nostra libertà interiore e saperla raggiungibile".


Il mio Cammino di Santiago (3)

12 ottobre

La nebbia sale velocemente e tra poco ci avvolgerà. Mi sembra la nube della non-conoscenza. Ora sto facendo davvero da guida a François e Geneviève e ne sono contento. A questo serve qualche anno in meno. Loro salgono più lentamente e mi seguono.

La nebbia ora sta tutto intorno. Ne siamo avvolti e abbracciati. A tratti non scorgo più i miei compagni ma loro sanno che li precedo.

Penso ai quattro arcangeli, Michele, Gabriele, Raffaele e Ariele e li invoco a voce alta. Penso anche ad altre persone che ora non sono qui ma che sento vicine.
Salire, inerpicarmi, mi da un piacere indescrivibile. Sentire la forza che, ad ogni passo, cresce e ritorna nelle gambe, nei polpacci, nelle cosce è una sensazione splendida. Sono loro che vogliono spingermi con gran potenza!

ƒm

Da La Gourette a Gabas ci abbiamo messo 12 ore. È stata la tappa più lunga, più bella, più impegnativa. Tappa di acqua e liquidità: torrente, lago di Anglas, laghetti vari, pioggerellina, nevischio, neve fitta dai 2100 m. fino ai 2470 di Orquette de Arras, pioggia forte, pietre bagnate e scivolose nella discesa (due cadute!), nebbia e nuvole che salgono e scendono, soste brevi e umide.
Ho provato un senso di gioia intensa durante la marcia. A volte quasi euforia. Il piacere della vitalità che si manifesta.
Scopro che François ha male al piede sinistro per un incidente durante la guerra d’Algeria. Ci rimase per 18 mesi e a quell’epoca nacque il suo primo figlio. Fu una mitragliatrice a falciargli la gamba e per molti giorni rischiò l’amputazione.
Ho camminato davanti, aprendo il sentiero per i miei due amici e fiero dell’importanza - grande anche se “relativamente” modesta - che ciò potesse avere per loro. Ad ogni segno bianco e rosso, ad ogni kerne, le pile di pietre che indicano la via da percorrere, battevo due colpi con il mio bastone di bambù che ha una bella risonanza. Da sotto, anche senza vedermi sapevano così dove mi trovavo e il mio richiamo stava a significare “Fin qui tutto bene!”.
Questa sensazione di camminare verso l’ignoto che ti da questo cammino è davvero molto particolare, sai dove sei, sai come ti senti ma non sai bene dove ti porteranno i tuoi passi…

Grazie per questa giornata, per queste montagne magnifiche, per la preghiera che sorge nella nebbia e nel silenzio, per il cuore che vive e che pulsa e per il respiro che torna ad essere profondo!
Prima giornata di “liquidità” anche per C. - me lo ha detto nella prima telefonata che le ho fatto: era sorpresa che prima che lei mi dicesse alcunché, io le chiedessi “quando…?”.
Ho trovato anche i mirtilli e li ho mangiati con gusto. Sono gli ultimi della stagione.


                                            Con François (alle nostre spalle il Pic du Midi d’Ossau)

13 ottobre

Ho dormito bene, ne avevo bisogno, nell’Hotel Vignan di Gabas.
Cena abbondante la sera e colazione copiosa come tutti i giorni…
La partenza è prevista tra poco, alle 7.45, ci attende un dislivello di 1000 metri e un altro passo a 2000 metri. Poi passeremo a destra del Pic du Midi d’Ossau e quindi dal Col du Somport. Seguendo la via tracciata meticolosamente da François. Stasera Spagna!

ƒm

Pic-nic per raccogliere le forze alle 12.45 sul Col des Moines a 2100 m.
Ecco la frontiera Francia-Spagna! L’abbiamo vista arrivare pian piano…
È un’emozione sapere che laggiù, oltre alle montagne, comincia un paese nuovo.

Que viva España!
Che Yeshua accompagni noi tre pellegrini sul Camino Español!
Cielo terso, sole splendente, vista incredibile sulle catene montuose.

Da oggi porto una conchiglia appesa al collo. La sento ben presente, qui sul petto.



15 ottobre

Sono nella regione del Aragon nel hospital de peregrinos di Arres.
Finalmente un bel rifugio tranquillo con due simpatici hospitaleros (una coppia di volontari di Sevilla). Sono arrivato presto e ora ho il tempo di riposarmi e di scrivere.
Dopo le bellissime e impegnative tappe di montagna (le ultime due di 12 e di 11 ore) ho sentito il bisogno di rallentare il ritmo almeno un poco e prendermi un po’ di riposo per il corpo e per lo spirito. La lunga discesa dal Col de Somport ci ha portato fino a Jaca, sito storico per tutti i pellegrini che vanno a Santiago e in questa cittadina François, Geneviève ed io ci siamo abbracciati e separati. Dopo nove giorni di cammino insieme era proprio giunto il momento. Chissà, forse ci rincontreremo a Santiago. Credo che sia per me sia per loro sia ora importante ritrovarsi soli.



                                               Distese di sassi accumulati, segno del passaggio di tanti pellegrini prima di me.

A Jaca ho avuto il tempo di visitare la cattedrale e di sostarvi a lungo. Al suo interno tutto è di legno, strutture, mobili, sculture, bassorilievi. Sono molte le rappresentazioni sacre cesellate con gran cura e raffinatezza e mi è piaciuto molto il San Miguel Arcan. Nella chiesa vicina di Santiago c’è un altro San Miguel che sembra quasi una donna. I draghi infilzati sono molto realistici e fanno spavento. Per la prima notte da solo dopo qualche tempo ho trovato posto in un albergue de peregrinos gestito da Kostas, un greco simpatico che mi ha lasciato usare il computer per scrivere un’email ad un’amica dal nome quasi uguale… Poi ho trovato un ristorante tipicamente spagnolo e rumoroso, pieno di operai e donne vigorose che servivano ai tavoli con rapidità e efficacia. Qui bisogna decidere rapidamente quello che si vuole e ho notato la stessa cosa dal tabaccaio. Quando sono arrivato nella città vecchia tra le due e le tre sembrava quasi abbandonata: un vero deserto! Verso le cinque è diventata invece vivacissima. È proprio vero che la Spagna vive la notte e l’atmosfera è così diversa dalla vicina Francia! Per strada ho visto tante persone interessanti e, con mio gran piacere, tanti bambini. Rallegra anche vedere persone anziane, uomini e donne, nei bar di sera. Spero di imparare rapidamente lo spagnolo per parlare anche con loro. Ho mangiato il Churrasco: “Toro!” ha detto ridendo la cameriera un po’ gitana.
Da Jaca a Arres ho percorso senza fatica i 25 km che li separano portato da gambe che ormai avanzano da sole. Io le seguo. La valle è dolcemente collinosa ma non molto interessante. Stamattina ho visto uno stormo di grandissimi rapaci. Esistono i rapaci migratori? Hanno un corpo grande e pesante e quando sono sul suolo si muovono a salti, arcuando il lungo collo bianco. La loro coda è bruna (o nera) e hanno delle ali marroni con una fascia nera nella parte posteriore. Uno alla volta ogni 15 secondi spiccavano il volo e in aria l’estremità sfrangiata delle ali - ali forti e grandi per trasportare un corpo pesante - si inarcano verso l’alto. Sono forse avvoltoi? 
Ho assaggiato un’uva bianca piccolissima e dolcissima. Durante il cammino in una zona boschiva all’improvviso sono sbucato in un luogo “sacro”. Una radura con migliaia di pietre disposte una sull’altra a formare un numero infinito di personaggi e presenze diverse. Il segno del passaggio di tante persone prima di me. Ognuno ha posato la sua pietra? L’ho fatto anch’io aggiungendone una su una pila.
Ora sono nell’atmosfera casalinga di Arres dove sono stato accolto da un incenso fumante e dal bel sorriso di Lourdes, l’hospitalera. È importante dopo tanti km di strada e di fatica arrivare a casa, accolto da una cena pronta e da esseri umani sensibili.
Ah sì… dimenticavo la piccola follia di questa giornata…
Stavo camminando di prima mattina e ringraziavo Dio per il sole che sorge ogni giorno e accompagna il nostro cammino. Dicevo a voce alta: “Grazie per la pioggia che nutre la terra e bagna i nostri cuori secchi…”.
Proprio in quell’istante ho visto il mio cuore di pietra rossa per terra davanti ai miei piedi. L’ho raccolto e ho deciso di portarlo con me. Pesa tanto, forse un chilo. Lo voglio dare a C. quando torno a casa. Vorrei trovare però qualcosa di abrasivo per pulirlo e levigarlo un poco ogni giorno. E giungere a Santiago con un cuore lucido e… più leggero. È una piccola pazzia che però ha il suo senso…
Con la barba che giorno dopo giorno cresce non mi piaccio. Forse perché è un po’ bianca? Dovrò comunque tenermela e non è male non piacermi. Devo pur accettare di invecchiare e di morire. Altrimenti a cosa serve questo viaggio?
Per ora mi sono accorto che sto ancora accumulando troppo, in tanti momenti della giornata. È ancora la paura della mancanza. Per fortuna c’è il cammino che elimina, che brucia, che purifica, che lava il corpo nel profondo. Molto deve ancora cambiare!
Oggi ho incontrato il primo cane libero veramente aggressivo. Credo che mi avrebbe morso, stava già per farlo, se non avesse avvertito che ero più forte e più deciso di lui. Qualche colpo secco di bambù sul suolo lo ha intimorito e tenuto a distanza. Ci saranno altre situazioni simili e anche più difficili: me le aspetto!