venerdì 26 novembre 2021

Un salto nel multiverso futuro


Nel secolo scorso Haruchika Noguchi, morto meno di cinquant’anni fa, proponeva un modo nuovo e originale di concepire la salute degli esseri umani.

Con una calligrafia tutta sua e molto particolare scriveva poesie e aforismi. Li considero tanto preziosi che, nella mia abitazione e nel dojo in cui pratico, ho appeso delle stampe che li riproducono. Li lascio esposti in bella vista in modo che i miei occhi possano impregnarsi di quegli ideogrammi, già in sé molto evocativi, e per rinfrescarmi la memoria ogni giorno che passa.

Egli scriveva per esempio cose di questo tipo: se vuoi condurre una vita sana “sentiti dentro il vento quando esso soffia e sentiti parte della pioggia quando essa cade” oppure “vivi sempre senza pressione e in una gioiosa leggerezza”.

Sorprendentemente, forse per alcuni ma non per me, sosteneva anche che “salute è non occuparsene”.
In sostanza, Noguchi, che non aveva di certo una visione meccanicista dell’essere umano - non lo riteneva perciò una macchina biologica riparabile e modificabile a piacimento - era perfettamente conscio di quanto sia importante l’orientamento della nostra psiche nel mantenimento della nostra salute.

Ciò vale a dire che l’orientamento interiore che adottiamo influenza tutto il nostro organismo e, in vari modi, crea e determina il nostro futuro.

Non vorrei soffermarmi ora sul fatto che una vecchia e superata scienza, ancora ancorata ad una visione materialista, non riconosca la verità di quanto ho appena affermato. Una nuova scienza più aperta allo spirito e ad una conoscenza multiversale - nonché capace di riconoscere l’esistenza di un’anima - non solo lo sostiene bensì si apre e si nutre di una visione più ampia, complessa, interessante della vita e degli organismi viventi (macro e micro, visibili e invisibili) nel loro insieme.
Per inciso, parlare di “nuova” scienza è in sé un modo di dire riduttivo e inappropriato che non può che far sorridere: infatti ad essa sta giungendo - e solo negli ultimi decenni, sebbene esistano illustri precursori - il nostro pensiero occidentale. Il Taoismo e il pensiero cinese antico, tanto per fare un esempio, erano giunti a conoscenze (o non-conoscenze) probabilmente ben più avanzate della nostra già molto prima che Cristo camminasse in terra di Palestina.

Tuttavia, lascerei ora perdere il dibattito su scienza e scientismo (quest’ultimo è un impoverimento della scienza che consiste nel trasformare la sua parte “fissa” in religione) ormai ufficialmente e direi finalmente aperto; non è questo il soggetto di questo mio post.

Ritornerei invece a Haruchika Noguchi e a quando diceva che “gli uomini che credono in un avvenire felice hanno gli occhi che brillano”. Sono parole che non voglio dimenticare e che cerco di far mie nella vita quotidiana.

Anche nei momenti difficili della mia vita personale o in quelli bui e popolati da scenari tenebrosi che sta attraversando la società in cui viviamo, cerco di non perder di vista - e di comunicarlo come posso e dove posso - che siamo noi gli artefici del nostro futuro, noi i seminatori della nostra buona salute, noi i creatori del nostro mondo.

Se la nostra mente è popolata costantemente da visioni apocalittiche - nient’affatto ingiustificate peraltro - finendo per rimanerci invinghiata e se, consapevolmente o inconsapevolmente, ci rinchiudiamo in quei confini asfissianti, finiremo senza dubbio e senza via di salvezza possibile per divenirne schiavi. Non smetto mai di dire che il lockdown peggiore è quello che rischiamo di imporci da soli.

Se, parimenti, la psicosi su scala globale che ci è stata imposta da una politica e da una gestione della società nella migliore delle ipotesi solo miope e ignorante e nella peggiore scientemente dolosa, dovesse continuare ancora a lungo, gli effetti sulle condizioni di salute collettiva non potrebbero che essere drammatici. Su questo, credo siano d’accordo un po’ tutti: psicosi e paura, forse non provocate intenzionalmente ma sicuramente strumentalizzate fino in fondo, non porteranno, negli anni e nei decenni a venire, che ulteriori malattie e sofferenza.

Dobbiamo dunque tirarcene fuori fin da subito, prenderne coscienza e fuggire a gambe levate, disinnescare ciò che le provoca, farlo andare in cortocircuito, sostituirle con altro...

Come dice bene Philippe Guillemant possiamo e dobbiamo oggi sostituire un “fotturo” superato e disumanizzato (ovvero un futuro già fottuto che ci era destinato senza che ne fossimo consapevoli) con un futuro luminoso in fase di creazione e molto più rispettoso del vivente. Il fotturo, infatti, sta forse giocandosi le (ultime?) cartucce che gli sono rimaste e, per cercare di sopravvivere e realizzarsi, combatte aspramente ogni nuova visione possibile.

È una tesi assai ottimistica, quella di Guillemant, che sposo volentieri anch’io. E che ci fa vedere con occhi diversi tutta la pseudo pandemia (che di epidemia seria si sia trattato è fuori di dubbio ma una pandemia è altra cosa).

Forse che, in questa vicenda così tragica per certi versi e così portatrice di cambiamento per altri, il virus non abbia solo un ruolo “negativo” e che ci stia invece dando una mano ad uscire da un vicolo cieco? dice, in sostanza il nostro fisico quantistico francese. Non sarebbe più soltanto il “terribile virus”, nemico numero uno da combattere e sconfiggere a tutti i costi ma un “gentile virus” che sta scombinando tutte le carte in tavola (e anche molti piani qualora ci fossero) e che, nel farci apparire in tutta evidenza quanto orribile possa diventare il fotturo a cui stiamo/stavamo andando rapidamente incontro, in realtà ci costringe ad un risveglio, ci porta a costituire nuove reti esistenziali e a dar corpo a una nuova coscienza. Senza quest’ultima non andremmo da nessuna parte, ne sono profondamente convinto, ma con essa potremo concepire un mondo radicalmente diverso.

Ci vorrà molto tempo? È probabile, così come è probabile che noi ci si trovi attualmente solo nel bel mezzo di una fase di profonda trasformazione dell’umanità di cui per ora siamo in grado di cogliere solo alcuni aspetti. Il tempo, ammesso che esista, ci dirà cosa è giusto.

In fondo, anche Haruchika Noguchi sosteneva che ci sarebbero volute decine di generazioni prima che la cultura Seitai di cui era portatore potesse diventare cultura comune e diffusa.
In quella cultura vita e morte non sono disgiunte e la salute non è vista come sinonimo di assenza di malattia. Ne riparliamo tra qualche anno? O prima, che ne dite?

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