È arrivata la mattina del rientro dopo quasi un mese di pausa.
Ritrovo i tatami del dojo e la sua quiete.
Riprendere l’Aikidō significa sveglia il mattino presto.
Uscire di casa quando le vie sono ancora semi deserte.
E i rumori di una città che ancora dorme sono quasi inesistenti.
L’effetto che mi fa è sempre lo stesso, un effetto immediato:
varco un po' assonnato il portoncino di legno e, una volta in strada,
è come se mi tuffassi nella vita, mi risveglio a me stesso.
Suoni, luci, colori e movimenti cambiano di natura.
Giungere al dojo per primo non è solo girare la chiave di una serratura.
Apro la tenda all’ingresso e nasce spontaneo un inchino verso il vuoto pieno.
Ohayō gozaimasu ! È un buongiorno dal cuore quello che mi sale alle labbra.
Saluto il signor Onizuka, Tsuda, Noguchi, Ueshiba, Sotigui...
i miei cari, i miei maestri, che stanno nei quadri, che girano nell’aria,
che abitano invisibili tra le quattro mura di questi spazi.
A volte ne saluto uno di loro in particolare, a volte li abbraccio tutti insieme.
Con Takashi Onizuka e Sotigui Kouyaté, la sensazione è speciale,
non c’è solo la vicinanza spirituale, ma anche una parte affettiva e una vibrazione fisica:
li ho conosciuti, li ho toccati, abbiamo riso e praticato insieme,
sento il suono della loro voce, c’è qualcosa di caldo e di semplicemente umano che ci lega.
Quando li guardo, riecheggiano in me i momenti indimenticabili passati insieme.
Aprire la porta di un dojo non è un’azione che si fa per se stessi.
È un inizio che si ripete ogni giorno, una preparazione, un’accoglienza.
Entriamo sui tatami con abiti puliti, con i piedi nudi, con il cuore aperto.
Quando il clima è caldo come in questo periodo, non esito ad aprire tutte le finestre:
per far girare l’aria, per creare brezze e correnti, per rinfrescare l’ambiente.
Chi arriverà dopo di me potrà trovare un luogo gradevole e già in movimento.
Poi dispongo il foglio delle presenze all’ingresso, preparo la campana, accendo la candela,
tocco il bokken o il jō che mi accompagneranno di fronte alla calligrafia
e finalmente scendo giù e mi siedo.
Sedersi in terra, per trovare il proprio posto sui tatami.
Sedersi vuoti in uno spazio calmo e pulito.
Sedersi nel silenzio di un silenzio che si protrarrà per minuti infiniti e densi.
Sedersi e sentirsi: sentire la propria schiena, la propria base, le proprie gambe.
Sedersi e respirare dentro e fuori, cogliendo la vita incessante che scorre.
Sedersi e rinnovare, istante per istante, la consapevolezza che la Vita è.
Sedersi e rigenerare, istante per istante, la consapevolezza che il Sé ci respira e ci trascende.
Sedersi e ascoltare i passi di chi giunge e ti raggiunge.
Sedersi in un immobile movimento e gioire per qualcuno che si siede attento al tuo fianco.
Nulla di più bello, nulla di più semplice, nulla di più prezioso!
È la dimensione spirituale, quella sacra e pura, di quel tesoro che è l'Aikidō.
Senza di essa non c’è un dopo, non c’è una prospettiva, non c’è uno sviluppo.
Chi conosce, nel solo sedersi, il piacere di ritrovare la terra e la vita
quando giungerà il momento di alzarsi e di camminare,
quando risuoneranno i dolci rintocchi della campana,
saprà incarnare e comunicare l’entusiasmo dell’incontrarsi e del praticare insieme.
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