giovedì 26 agosto 2021

Ohayō gozaimasu e poi mi siedo

 


È arrivata la mattina del rientro dopo quasi un mese di pausa.

Ritrovo i tatami del dojo e la sua quiete.

Riprendere l’Aikidō significa sveglia il mattino presto.

Uscire di casa quando le vie sono ancora semi deserte.

E i rumori di una città che ancora dorme sono quasi inesistenti.

L’effetto che mi fa è sempre lo stesso, un effetto immediato:

varco un po' assonnato il portoncino di legno e, una volta in strada,

è come se mi tuffassi nella vita, mi risveglio a me stesso.

Suoni, luci, colori e movimenti cambiano di natura.


Giungere al dojo per primo non è solo girare la chiave di una serratura.

Apro la tenda all’ingresso e nasce spontaneo un inchino verso il vuoto pieno.

Ohayō gozaimasu ! È un buongiorno dal cuore quello che mi sale alle labbra.

Saluto il signor Onizuka, Tsuda, Noguchi, Ueshiba, Sotigui...

i miei cari, i miei maestri, che stanno nei quadri, che girano nell’aria,

che abitano invisibili tra le quattro mura di questi spazi.

A volte ne saluto uno di loro in particolare, a volte li abbraccio tutti insieme.

Con Takashi Onizuka e Sotigui Kouyaté, la sensazione è speciale,

non c’è solo la vicinanza spirituale, ma anche una parte affettiva e una vibrazione fisica:

li ho conosciuti, li ho toccati, abbiamo riso e praticato insieme, 

sento il suono della loro voce, c’è qualcosa di caldo e di semplicemente umano che ci lega.

Quando li guardo, riecheggiano in me i momenti indimenticabili passati insieme.


Aprire la porta di un dojo non è un’azione che si fa per se stessi.

È un inizio che si ripete ogni giorno, una preparazione, un’accoglienza.

Entriamo sui tatami con abiti puliti, con i piedi nudi, con il cuore aperto.

Quando il clima è caldo come in questo periodo, non esito ad aprire tutte le finestre:

per far girare l’aria, per creare brezze e correnti, per rinfrescare l’ambiente.

Chi arriverà dopo di me potrà trovare un luogo gradevole e già in movimento.

Poi dispongo il foglio delle presenze all’ingresso, preparo la campana, accendo la candela, 

tocco il bokken o il che mi accompagneranno di fronte alla calligrafia

 e finalmente scendo giù e mi siedo.


Sedersi in terra, per trovare il proprio posto sui tatami.

Sedersi vuoti in uno spazio calmo e pulito.

Sedersi nel silenzio di un silenzio che si protrarrà per minuti infiniti e densi.

Sedersi e sentirsi: sentire la propria schiena, la propria base, le proprie gambe.

Sedersi e respirare dentro e fuori, cogliendo la vita incessante che scorre.

Sedersi e rinnovare, istante per istante, la consapevolezza che la Vita è.

Sedersi e rigenerare, istante per istante, la consapevolezza che il Sé ci respira e ci trascende.

Sedersi e ascoltare i passi di chi giunge e ti raggiunge.

Sedersi in un immobile movimento e gioire per qualcuno che si siede attento al tuo fianco.


Nulla di più bello, nulla di più semplice, nulla di più prezioso!

È la dimensione spirituale, quella sacra e pura, di quel tesoro che è l'Aikidō.

Senza di essa non c’è un dopo, non c’è una prospettiva, non c’è uno sviluppo.

Chi conosce, nel solo sedersi, il piacere di ritrovare la terra e la vita 

quando giungerà il momento di alzarsi e di camminare, 

quando risuoneranno i dolci rintocchi della campana, 

saprà incarnare e comunicare l’entusiasmo dell’incontrarsi e del praticare insieme. 



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