Preambolo
Dormo
in un letto largo ma che caldo questa prima notte! Nella piccola stanza gira
poca aria, essenzialmente quella che diffonde il vecchio ventilatore. Ho già
capito che in questo viaggio non incontrerò l’Africa dei grandi orizzonti e dai
cieli infiniti. Qui troverò altra cosa, l’Africa urbana e l’umanità che
esprime, nella sua versione senegalese, beninteso.
Molti
europei stentano a rendersi conto che l’Africa sia un continente immenso e che
le differenze che esistono tra i popoli e le tradizioni dell’Africa occidentale
e quelli, per esempio, dell’Africa orientale o di quella centrale siano quasi
sempre di gran lunga superiori alle caratteristiche comuni e condivise. Sì, è
possibile parlare di un grande albero da cui si diramano rami disparati. Le
radici di quest’albero sono comuni (è una bella immagine, perché non evocarla?)
ma i frutti che la pianta offre sono molteplici. Ed ognuno ha il proprio sapore
unico.
L’Africa
che ho avuto modo di esplorare e frequentare in questo mese - un mese è un
tempo lungo o breve? - si chiama Senegal, e più precisamente Dakar, capitale
ambita e affollata. Non ho incontrato elefanti, che qui non ci sono, né
antilopi né leoni. Qualche immenso baobab, per fortuna sì, nelle rare e
riposanti fuoriuscite che mi sono concesso e di cui ho approfittato pienamente.
Questo
solo per circoscrivere da subito il campo di gioco e le regole che voglio
darmi. Dell’Africa in generale tutto si può dire e il contrario di tutto. In
quanto a me, non saprei proprio cosa aggiungere a quanto è stato già detto da
altri. E’ stato il mio primo viaggio subsahariano e voler parlare di “Africa”
mi sembra perlomeno presuntuoso. Di Guele Tapée, di questo quartiere
multicolore e popolatissimo, però qualcosa posso raccontare. Parlerò di chi ci
vive e di come ci ho vissuto io. Brevi considerazioni e riflessioni di
interesse certo relativo e circoscritto. Tuttavia, quello che in primo luogo mi
preme è dare corpo e parola a sensazioni vissute piuttosto che addentrarmi in
analisi azzardate. Lascio ad altri conclusioni e commenti, mi limito a ciò che
i miei occhi sono stati in grado di vedere.
Ecco,
ora che mi sono per così dire giustificato e che ogni cosa che mi accingo a
scrivere non rischia di sfuggire alla sua giusta dimensione relativa e
soggettiva, mi sento più tranquillo e più libero di agire. Posso spaziare nel
tempo e nella forma ed evito in questo modo di dovermi attenere a qualsiasi
coerenza sia essa linguistica sia di contenuto. In un certo senso scarico le
responsabilità per poter respirare: un vecchio trucchetto. Ma funziona.
Cosa
sono queste pagine? Voglio chiamarle “Diario di un’immersione”. Il personaggio, se proprio è necessario
averne uno, sono io. Preferisco la soggettività con tutti i suoi limiti, e la
sua umanità, ad un’oggettività distaccata di cui sono peraltro incapace. Per
immergersi, l’unico elemento indispensabile è quello di tuffarsi senza timore
di bagnarsi: questo sono riuscito a farlo e senza nemmeno troppo sforzo. Ne
sono anche piuttosto fiero. In trenta giorni passati a Dakar ho nuotato in un
mondo diverso da quello a cui ero abituato, fluttuando tra profumi e lezzi
maleodoranti. Soprattutto però ho incontrato un’acqua di sorgente viva, l’acqua
del Sabar… E ho provato a
berla!
Yama
Ho
conosciuto Yama a Parigi, nel maggio scorso. Da alcuni mesi avevo incontrato la
danza africana e mi ci ero gettato a capofitto con un entusiasmo giovanile
ritrovato. Una parte di me intuiva una grande libertà di espressione potenziale
attraverso la danza e i ritmi africani. Da subito ho avuto anche la
consapevolezza che attraverso di essi avrei potuto integrare ed approfondire la
mia ricerca che da anni si sviluppa attorno a arti più “orientali” come
l’Aikido e il Taiji quan e alla pratica del Katsugen undo, che arte non può
definirsi, ma che sta alla base di tutta la mia filosofia di vita. Ora, man
mano che le esperienze vissute crescono, ne sono sempre più convinto anche se
il filo che in me lega il Giappone con l’Africa mi sembra ancora del tutto
interiore e personale. Eppure, una voce sicura dentro di me mi dice che i
legami tra questi due mondi apparentemente così lontani sono in realtà più
stretti di quello che si possa credere e che vadano ben oltre la mia sfera
soggettiva. Non è adesso, però, il momento di trattare questo tema, rischierei
che da un’iniziale breve parentesi il discorso si allarghi a dismisura
portandomi troppo lontano. Tornerò sull’argomento più tardi, senza ombra di
dubbio, poiché in esso si trova il motore che muove la mia ricerca nel percorso
che le è riservato.
Insomma,
mentre il mondo orientale, le sue pratiche e le sue filosofie, hanno
accompagnato i miei anni giovanili, l’Africa, con modi e voci diverse, mi ha
chiamato a sé in età matura.
Yama
è stato il suo ambasciatore così come Sotigui Kouyaté, mio papà africano, ne
era stato il profeta. “Il est temps que tu ailles en Afrique” mi aveva detto
Sotigui poco tempo fa. Detto fatto, attendevo solo l’occasione di partire non
come turista ma come viaggiatore. Questa chance mi è stata fornita da Yama e
l’ho colta al volo. Una notte parigina è stata sufficiente per decidere. Al mattino
tutti i miei piani estivi erano ormai ribaltati per lasciare spazio a questo
mio primo attesissimo viaggio nell’antico continente. Avrei pensato al Burkina
Faso come prima meta, o al Mali. E’ stato invece Senegal: per via del Sabar e
per via di Yama.
In
una lezione di un’ora e mezza al Centre Momboye questa esile donna è riuscita a
farmi sentire per la prima volta in vita mia il piacere della danza e
l’inebriante sensazione di saper ballare. Mi ha scosso, mi ha spronato a
lasciarmi andare, mi ha gridato in faccia di svegliarmi invitandomi a vivere.
Tutto questo mentre i sabar incessanti scandivano il loro ritmo che non potevo,
non dovevo, lasciare neanche un istante. Sono uscito sudato e contento dalla
sala di danza dicendomi: “Io posso”. Di Yama proverò a dire qualcosa nelle
pagine che seguono, anche se non so se sarò in grado di farne un vero ritratto.
Sono certo comunque che ci siamo visti dal primo momento in cui ci siamo incontrati, ci siamo capiti e
abbiamo dialogato da cuore a cuore. E’ scaturito in un istante un rapporto di
amore e libertà: bello, no?
Amore
e libertà mi hanno invitato in Senegal. Desiderio di amore e libertà muove i
miei passi e da loro forza.
Nessun commento:
Posta un commento