giovedì 25 marzo 2021

I dipinti di Luigi

 

COSA CONSENTIVA, 
40 ANNI FA, 
UNA TAVOLOZZA DEL CLOSLIEU

( La necessità del Gioco del dipingere )




Chissà cosa starà facendo oggi Luigi R., che vita conduce, quali sono le sue occupazioni?

Quel giovane ragazzo che tra il 1980 e il 1981, quasi 40 anni fa, lavorò con tanta passione nell’atelier di pittura di Susi Frova, mia madre, in un paesino della bassa lodigiana chiamato San Zenone al Lambro, dove anch’io dipinsi negli anni dell’adolescenza.

Sarei quasi tentato di cercarlo, di trovarlo e di parlargli. Per vedere cosa ricorda di quegli anni e di quei momenti formidabili. Sono certo che anche in lui queste tracce, che ancora oggi vibrano in chiunque le guardi, siano diventate un patrimonio indissolubile, conscio e inconscio, e che Luigi le porti sempre dentro di sé.

Tracce vive, forti e piene di sostanza che costituiscono - come dubitarne? - il suo tesoro nascosto, un patrimonio intimo. In questi anni, da allora ad oggi, esse l’hanno accompagnato, l’hanno sostenuto nei momenti difficili, gli hanno dato fiducia nei propri mezzi.

Chissà se sarebbe curioso di rivederle e quali sensazioni susciterebbero in lui...




Le ho trovate in una vecchia cartelletta, tra altri dipinti dell’atelier di Susi.

Le offro con rispetto al vostro sguardo, sperando che sappiate osservarle con occhi semplici e senza commentarle troppo. Soprattutto evitando troppi aggettivi per definirle.

Vi chiedo di guardarle con gli stessi occhi con cui le ha osservate a lungo, con grande concentrazione e in assoluto silenzio un bambino di 4 anni, che chiamerò Elias e che dipinge nel mio Closlieu: sembrava che le lasciasse parlare dentro di sé e ne ascoltasse la risonanza.

Ve le offro perché sento sia giusto farlo e che possa avere un senso.

Senza timore di tradire la fiducia di Luigi, che allora dipinse il proprio mondo solo per sé e senza destinarle ad alcun ricevente, gli chiedo di essere generoso: è impensabile trovare dipinti analoghi nei suoi coetanei di oggi, allora mi conceda di avvalermi dei suoi dipinti per far conoscere cosa era possibile in quei tempi e cosa, spero, sarà ancora possibile in futuro, in generazioni più fortunate, libere e rispettate delle attuali.




A mia volta, ho osservato Elias mentre, quasi stesse placando una sete interiore, s’impregnava di queste tracce. Le ha riconosciute e le ha sentite vive ed esprimibili dentro di sé: questo mi è parso e questo in cuor mio spero. Se non avessi questa speranza e questa convinzione, non avrei aperto, ormai molti anni fa, un Closlieu. E probabilmente, non continuerei a credere nella sua ragion d’essere e ad insistere per mantenerlo in vita e accessibile a chiunque.

Mi sarei arenato e scoraggiato di fronte ai disastri provocati dall’educazione artistica in questi ultimi decenni, mi sarei dato per vinto di fronte ai tanti bambini (ai tanti potenziali Luigi R.) ridotti ad un’innaturale sterilità creativa dagli eccessi di intervento adulto, che non oso definire educativo, che gli ha spinti e fatti precipitare in una realtà di stereotipi e immagini inculcate che poco o niente hanno a che vedere con il loro mondo interiore.

Il perfetto allievo dell’odierna educazione artistica, da bravo piccolo artista, quando dipinge sembra essere perfettamente scisso in due. Dipinge quello che gli è stato insegnato dall’adulto (l’insegnante, il genitore, il parente) e quello che a quest’ultimo può far piacere. Dentro di sé, nel suo ventre, nel suo corpo, egli non prova una viva soddisfazione per ciò che ha prodotto. Se ne compiace solo la sua parte mentale, una piccola parte del nostro essere, fiera di aver svolto diligentemente un compito e del riconoscimento positivo che ottiene da “fuori”.

Non esagero e so di cosa parlo: di bambini così o, più precisamente, di bambini diventati così, ne ho visti passare tanti anche nel mio Closlieu. Troppo spesso mi trovo a condividere la loro frustrazione quasi disperata: non è facile per loro e nemmeno per me che sto al loro fianco.

Alcuni di loro, quelli che hanno avuto la fortuna di poter continuare per qualche anno, hanno saputo scardinare, almeno in parte, questa realtà deprimente e riconquistare un’integrità e un’unità ben più gratificanti.

Questa cosa e l’esserne consapevole mi hanno spinto a perseverare nel mio lavoro e a non perdere la fiducia.

Dentro di me continuo a ripetermi che finché c’è vita c’è anche movimento. Finché ci sarà movimento ci sarà anche potenziale trasformazione.

Possiamo e dobbiamo credere nella possibilità che essa si produca, su scala individuale prima e collettiva poi.

Tuttavia, le trasformazioni profonde richiedono anni e proprio questo è ciò che si richiede a noi Serventi del Gioco del Dipingere: anni, tempo e continuità affinché si possa uscire dalla carestia in cui versa oggi il tracciare nel mondo infantile e ritrovare una rinnovata fertilità che consenta una feconda Espressione nei bambini di domani.




I dipinti di Luigi

Ma ritorniamo a Luigi e a ciò che visse tra le quattro pareti multicolori dell’atelier di Susi. Fu un’esperienza felice, non c’è ombra di dubbio, seppur breve...

Cosa sono uno o due anni nello spazio di una vita? Un’ora e mezza alla settimana nell’arco di cosi pochi mesi sembrano davvero pochi eppure Luigi visse allora un’esperienza indimenticabile che lo accompagnerà in tutti i suoi anni seguenti. Provo a ricordarmi da dove provenisse ma non ci riesco: forse da qualche cascina che in quegli anni ancora esistevano intorno e dentro al paese? Comunque, è probabile che la sua famiglia non gli chiedesse di divenire un “piccolo artista” e che nemmeno subisse la pressione di dover produrre o di dimostrarsi creativo.

Egli veniva nell’atelier per il puro piacere di dipingere, assorto nel suo gioco appassionante che lo rendeva forte, libero e indipendente tra altri simili a lui.

Quello che Luigi dipinse allora, e che oggi è davanti ai vostri occhi, è un mondo intero, il suo mondo: con le passioni, le preoccupazioni, i paesaggi interiori ed esteriori che gli erano propri. Ragazzino di dieci, undici o forse dodici anni, egli navigava nella Formulazione - e la padroneggiava con sapienza - per tracciare “oggetti-immagine” che sono ben più di una rappresentazione della realtà circostante.




Infatti, quando la traccia è naturale, quando la Formulazione si esprime incondizionata, è corretto parlare di pura Espressione mentre non lo è limitarsi all’improprio termine di rappresentazione. La pressione che proviene da dentro (Ex-pressione) si serve del tracciato e del segno per mettere in scena, per far vivere in concreto, un paesaggio ben più profondo della rappresentazione di ciò che gli occhi vedono al di fuori. La sua espressione è necessaria e salutare per l’equilibrio personale mentre la soddisfazione del bisogno organico che la suscita è fonte di pienezza, piacere e appagamento.

Per chi conosce la Formulazione - tutti dovrebbero! - messa in luce impeccabilmente da Arno Stern nel corso di una vita intera di lavoro lucido e generoso, non è difficile riconoscere una grande ricchezza di elementi propri alla stessa presenti nei dipinti di Luigi.

Per citarne solo alcuni tra i più evidenti: l’utilizzo particolarmente diversificato della figura della lisca (ponti su strade e fiumi, staccionate e recinti, ringhiere e balconi, sentieri “piastrellati”, reti da pesca e reti delle porte dei campi da calcio, delimitazioni stradali e erbacee - tra i due campi sportivi -, auto o autobus, decorazioni delle barche, interni e decorazioni delle finestre, strisce pedonali, strade grigie particolari, scale, alberi delle barche, bandiere...).

Poi gli spazi blu con pullulamento di pesci, barche, uccelli, stelle, legnami, personaggi, onde, nuvole.




Poi gli altri ricchissimi pullulamenti: di fiori, di alberi, di frutti, di auto, di case.

Poi i restringimenti (fiumi e strade), gli imbuti, le figure raggiate (soli), le figure circoscritte (case, personaggi, piscine, pesci, isole, frutti), i limiti superiori (cieli con pullulamenti di stelle, uccelli ecc.), i limiti inferiori (spazi blu con pullulamenti di pesci e onde oppure strade nere), gli zampillamenti (alberi e radici), le linee assiali (di strade, di alberi delle barche, di pontili) fatte con linee, punti o con le automobili stesse.

Poi, e non ultima, l’infinita rete di collegamenti fatta da strade e autostrade grandi nere, strade più piccole grigie, stradine sterrate marroni, sentieri. Il mondo sotterraneo, spesso raffigurato da altri bambini con formicai o da un reticolo di tane collegate tra loro da cunicoli, esiste nei dipinti di Luigi sotto forma di molteplici case strettamente unite tra loro da diverse vie di collegamento.

Infine, qui e là, si trovano anche figure primarie fini a se stesse e persino dei giroulis forse solo decorativi!




I collegamenti e il corpo

Non sembra esserci tempo nei dipinti di Luigi. Nell’arco di circa due anni egli ha dipinto con trasporto qualcosa che l’ha probabilmente portato fuori da una dimensione lineare, con un inizio e una fine ben definite. Le sue tracce risalgono dentro di lui fino alla memoria organica e cellulare. Esse avrebbero potuto continuare all’infinito come le sue strade se un giorno, per un motivo a me sconosciuto, egli non avesse dovuto sospendere di frequentare l’atelier di Susi.

Ammetto di aver provato un po’ di emozione, dopo aver percorso con lo sguardo tutti i suoi sentieri, le sue strade e le sue vie, quando ho avuto davanti agli occhi l’ultimo suo dipinto rimasto in sospeso: era forse “in corso” quando lo lasciò sulla parete l’ultima volta pensando probabilmente di continuarlo la settimana successiva... Luigi non sapeva che non sarebbe più ritornato in quella stanza un po’ magica e unica. Le ultime strade che dipinse, ascendenti nella montagna, appaiono come interrotte all’improvviso e sembrano farci fare un salto in una dimensione altra e invisibile. Erano, quel giorno, aperte sul futuro e ora mi appaiono aperte sul passato. Come mi piacerebbe oggi che Luigi potesse rientrare nel Closlieu e riprendere quelle strade dal punto in cui, solo provvisoriamente, le aveva lasciate allora!




Anche in tutti gli altri dipinti, le strade di questo straordinario inventore, artigiano e architetto dei collegamenti non sembrano giungere a una meta definitiva ma appaiono come preludio di una potenziale continuità. Esse collegano, congiungono, uniscono e al contempo, aprono nuovi orizzonti e nuovi paesaggi. Sono i vasi sanguigni di un’unica struttura organica, lo scheletro osseo che la sostiene, i ponti tra conscio e inconscio, le infinite associazioni che consentono il movimento, l’equilibrio, la vita.

A me questo sembra di poter dire sui dipinti di Luigi: che hanno un corpo, che sono un corpo. Tracciando spontaneamente, giocando a dipingere, Luigi ciò che dipinge senza soluzione di continuità, senza separazione tra chi dipinge e ciò che viene dipinto. Trasportato da un inconscio desiderio e da un altrettanto inconscio slancio egli la realtà che scaturisce e prende forma dal suo pennello, non è colui che la rappresenta. Il suo mondo interiore è forte e vivo mentre il Closlieu ne consente l’espressione attraverso tracce naturali e incondizionate.

Esse rendono possibile e tangibile il ritorno ad un’unità e ad un’integrità in cui dentro e fuori non sono che due facce della stessa medaglia.

Tuttavia, sorge come diretta conseguenza l’amara e piuttosto spaventosa domanda: perché tutto questo sembra diventato impossibile e irripetibile nei bambini di oggi?

Ammesso che i Closlieu siano tali a tutti gli effetti, cioè non copie conformi prive di sostanza, e che continuino ad essere il luogo dell’Espressione nei termini in cui è stata definita da Arno Stern, c’è da sospettare e temere che nei bambini delle ultime generazioni sia in atto una profonda trasformazione che stia andando a intaccare l’essere umano nella sua struttura profonda.

Danni dovuti all’informatica, alla schiavitù dalle macchine, all’educazione ricevuta o a cos’altro?

Come dire che non solo un bambino di oggi non è più in grado come Luigi di tracciare, manifestandoli esteriormente, strade, paesaggi interiori e collegamenti “consci ed inconsci” ma potrebbe anche darsi che dentro di sé questi non esistano proprio più o siano profondamente alterati. Un linguaggio non utilizzato si atrofizza e muore mentre un sentiero non utilizzato si riempie di sterpi ed erbacce.

La mia è solo un’ipotesi, estrema per giunta, e spero di sbagliarmi.

Tuttavia, se è vero che comunque esiste sempre una forma di “evoluzione” nell’essere umano e che in essa (oltre che nelle capacità di reazione e di ribellione) si possa e si debba confidare, il mio timore è che siano sempre meno gli umani e sempre più le macchine a governarla.

Ne riparliamo?






TRACCE NATURALI, Milano, maggio 2019

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