giovedì 25 marzo 2021

L'incontro con Hirosuke Noguchi

 

L’incontro con Hirosuke Noguchi




Invitato da Yolanda Bandrés Ottavi, scrivo volentieri qualche riga sul mio incontro con Hirosuke Noguchi, Roi sensei, terzo figlio di Haruchika, avvenuto più o meno una decina di anni fa. Incontro di un solo giorno tuttavia per me assai significativo sotto molti punti di vista. Quello che ora di esso posso raccontare sono solo impressioni personali che dunque non hanno in sé molto valore ma possono forse interessare chi ha a cuore la storia della famiglia Noguchi e fornire qualche spunto di riflessione in più ai praticanti del Seitai.

Di Hirosuke sensei avevo sentito parlare molto da Takashi Onizuka e da sua moglie Yoshiko nelle lunghe giornate passate insieme nella loro casa di Narutaki, a Kyt. Di ciò che loro mi hanno raccontato non parlerò molto in questo scritto, un po’ perché si trattava in buona parte d’informazioni confidenziali che non intendo divulgare e un po’ perché vorrei limitarmi al mio vissuto e alle mie sensazioni dirette che mi sento più libero di comunicare.

Tuttavia, per chiarire meglio l’ambito in cui avvenne l’incontro con Hirosuke Noguchi è necessario ricordare che mi trovavo in Giappone, ospite della famiglia Onizuka, per un periodo di pratica e studio con Onizuka Takashi sensei nel djSeitai di Kyt. Questo dj, appartenente al Seitai Kykai e alla famiglia Noguchi, è uno spazio ampio, accogliente e gradevolissimo, di struttura lignea e attorniato da un bel giardino, che durante l’anno - allora come oggi - è dato in gestione al sig. Onizuka che quotidianamente lo raggiunge in bici per praticarci il Katsugen undo, fare il Seitai she insegnare il Seitai.




Il sig. Onizuka fa parte di un gruppo di tre uchideshi di Haruchika Noguchi - lui, il sig. Katada e il sig. Tabusa che credo siano stati gli ultimi allievi “della casa” - e ha trascorso tutti gli anni giovanili abitando con il suo maestro fino al completamento della formazione seitai e l’inizio, intorno ai 27 anni, della sua carriera professionale a Shizuoka. In particolare, in quegli anni come “allievo interno” si è occupato e ha passato molte ore della sua vita con i cinque figli di Haruchika e Akiko quando questi erano bambini ed è stato per loro quasi un fratello maggiore. Li conosce dunque molto bene e quando me ne parla in situazioni informali a volte usa i soprannomi che erano stati loro attribuiti da piccoli: il maggiore Hirochika, Ponchan (da Bonbon); il secondo, Hiroyuki, Danchan (da Dandy); il terzo Hirosuke, Roichan (da Royal); la quarta, e unica femmina, Kino (che non so se avesse un soprannome); il quinto Takafumi, Takachan.

In seguito, tra loro, è rimasto molto legato soprattutto a Hirosuke, trovando probabilmente anche più affinità con lui dal punto di vista della pratica e dell’interpretazione del Seitai.

Ogni anno, nelle occasioni in cui Hirosuke veniva a Kytper i suoi seminari, era consuetudine che lui e Takashi si ritrovassero la sera del suo arrivo per una cena insieme. Il sig. Onizuka mi diceva che Roi amava molto quelle serate tranquille in cui poteva lasciarsi andare a momenti semplici e distesi con una persona con cui si sentiva in piena fiducia. Credo che Roi fosse una persona molto impegnata e sollecitata di continuo. Immagino quindi che momenti di relax di questo tipo non fossero così frequenti per lui e che di conseguenza gli fossero cari.

Lo conobbi appunto in occasione di una delle sue venute a Kyt, ricordo che si trattava di un 9 settembre, anche se ora, mentre scrivo, non ne rammento esattamente l’anno. Come di consueto, il sig. Onizuka uscì la sera del suo arrivo per cenare insieme a lui. Mi disse che l’indomani ero libero di occupare la giornata come meglio credevo perché al djsi sarebbero riuniti molti tecnici seitai (seitai concertants) e non essendo io uno di loro dubitava che potessi partecipare (anche perché non stava a lui decidere in merito). Risposi che capivo benissimo la situazione ma che mi avrebbe fatto molto piacere comunque incontrare Roi sensei, anche solo per stringergli la mano. Onizuka mi rispose che non mi prometteva nulla ma che avrebbe comunicato il mio desiderio a Noguchi. Dopo la mezzanotte, ho ricevuto una sua telefonata nella quale mi diceva di tenermi pronto perché, inaspettatamente, Hirosuke mi invitava a partecipare al seminario della mattina seguente. Stropicciandomi gli occhi, tra l’assonnato e l’eccitato, sono andato a letto con il pensiero portato all’indomani.




Giunto al djcon anticipo, ho assistito all’ingresso di Roi sensei dalla porta principale e mi sono detto che il suo soprannome era davvero azzeccato. C’era davvero qualcosa di regale in lui e in quello che si svolgeva davanti ai miei occhi. Preceduto e seguito da diverse persone, è entrato con passo lento ma allo stesso tempo deciso. Vestito di abiti tradizionali giapponesi di tonalità scura che strisciavano sul suolo di legno liscio mentre egli avanzava quasi scivolando, mi è passato vicino ed io ho potuto salutarlo usando una formula onorifica adeguata che mi ero preparato in precedenza per evitare gaffe linguistiche. Mi ha risposto con un bel sorriso pieno. Con quel suo corpo così alto e una figura maestosa, incedeva leggermente piegato verso l’avanti quasi portasse, è la mia impressione, un notevole fardello sulle spalle. Mi è sembrato fin dal primo sguardo che fosse pervaso da una tristezza gentile, che fosse carico di carisma ma anche di una grande malinconia.

Chi pratica il Katsugen und, il movimento rigeneratore, riconosce a prima vista questo movimento spontaneo in cui il corpo oscilla o ruota dolcemente - o più dinamicamente - intorno al suo asse (bacino e colonna vertebrale) seguendo un ritmo e una forma personali e variabili per ciascuno in ciascun momento. Lo abbiamo sperimentato su noi stessi e lo abbiamo visto tante volte negli altri sui tatami o in luoghi discreti, oppure abbiamo potuto riconoscerlo nei bambini che, meno controllati degli adulti e meno costretti dalle consuetudini di comportamento sociale, si lasciano andare con più facilità a movimenti che rispondono ad un bisogno diretto dell’organismo. Siamo tuttavia meno avvezzi alle situazioni tipo quella che mi sono trovato a vivere quando ho incontrato Hirosuke. In effetti, sia quando camminava sia quando si fermava - per esempio, quando mi ha stretto la mano - egli oscillava e si muoveva costantemente. Era come se lui fosse costantemente nell’atmosfera del Katsugen und, anche nei momenti, diciamo così, extra-pratica ed il risultato era che se desideravi entrare in relazione con lui, non potevi evitare di muoverti pure tu, se non altro per empatia. Con il suo solo modo di essere e il suo ki così particolare ti aspirava letteralmente in quella particolare condizione in cui il movimento fluisce senza apparenti ostacoli e la ragione, almeno in parte, si mette a tacere o in stand-by. Una cosa strana, perché insolita, ma per nulla sgradevole, almeno per me.




La primissima sensazione è stata perciò questa. “Quest’uomo incarna davvero la pratica e la filosofia che propone. È come se ci navigasse dentro giorno e notte senza uscirne mai” ho pensato dentro di me. Poco dopo il suo arrivo, il seminario ha avuto inizio e Hirosuke si è seduto di fronte ad una lavagna posizionata in fondo alla sala e ha cominciato a parlare del soggetto che si era proposto di affrontare quel giorno senza smettere, ça va sans dire, di roteare e dondolare, seguendo con le parole il movimento regolare e tranquillo che nasceva nel suo corpo. Parlava ovviamente in giapponese ed io, che questa lingua la mastico un poco ma che di un discorso complesso capisco sì e no due parole su dieci, non comprendendo molto di quello che diceva, mi sono concentrato piuttosto sulle sensazioni che vivevo in quella situazione interessante e sulla grande concentrazione di ki che avvertivo nel dj. Mi guardavo discretamente intorno e osservavo con attenzione tutti i presenti.

Riuniti sui tatami di paglia del grande seitai djdi Fukuoji (a spanne direi una superficie di pratica di 150 mq circa), quel giorno, c’erano più o meno 90 tecnici seitai che provenivano da diverse parti del Giappone. Tutte persone, alcune di loro anche assai anziane, con anni e anni di esperienza, di studio e di pratica. Mi sentivo un pochino come un pesce fuor d’acqua, unico straniero - ma forse questo era il meno - con scarsa o quasi nessuna competenza tecnica e per giunta incapace di comprendere la lingua. Eppure avevo il mio spazio in quel contesto e stava a me cogliere il senso della mia presenza, se mai ce ne fosse stato uno. Sapevo che, dopo la conferenza - durata circa un’ora e mezza - ci sarebbe stata una seduta di Katsugen unde l’attendevo con impazienza e curiosità.

Innanzitutto il djmi appariva molto diverso da come lo conoscevo. Mi ero innamorato di questo luogo passandoci lunghi momenti anche solitari a leggere, semplicemente sedendo e guardando il giardino al di là delle vetrate o sorseggiando un thé verde preparato da Yoshiko Onizuka che me lo offriva con il suo sorriso radioso. Un’atmosfera calda e familiare, insomma. Ero poi abituato a viverlo durante le sedute del sig. Onizuka, così leggere e liete, frequentate da un numero molto minore di partecipanti, dai 15 ai 25 a seconda delle volte e per la maggior parte donne, mentre ora, così pieno di praticanti esperti e in certo qual modo “importanti” mi sembrava tutto un altro luogo. Il ki era diverso, molto più forte, concentrato e carico ma anche... più formale. Due mondi, due Giapponi, due djdistinti in un medesimo luogo e a distanza di pochissime ore. Sappiamo tutti che uno stesso spazio - nella fattispecie un dj- cambia a seconda delle persone che lo abitano e della qualità della loro presenza e del loro ki. In questo caso ne avevo la riprova evidente. Non vorrei però che ciò che scrivo fosse interpretato come se esprimessi uno scontento o una critica nei confronti dei presenti e del loro modo di essere lì. Era solo una situazione differente da quella che conoscevo, non comparabile con quella che avevo scoperto con gioia venendo la prima volta dall’Europa e che aveva riportato freschezza e leggerezza nella mia pratica.

Con le parole di oggi, direi che nella pratica con il sig. Onizuka avevo sentito e - che sollievo! - ritrovato “l’unità nel piccolo e nel semplice” mentre in quel simposio di personalità rilevanti sentivo una certa frammentazione, tante presenze forti, e forse, nell’insieme, meno unione.




Però... - c’è sempre un però! - nella seduta con Roi sensei ho vissuto qualcosa di straordinario che non dimenticherò facilmente e questo vissuto, questo sentire, è legato direttamente alla sua persona e, più ancora, alla qualità della sua presenza.

Durante il tempo del movimento individuale, che è durato piuttosto a lungo, ho aperto gli occhi perché ero curioso. Le persone in Giappone si muovono molto, sicuramente di più che in Europa: oserei dire che praticano il movimento rigeneratore più liberamente e forse con meno filtri o pensieri che, in fondo, sono il solo e vero grande ostacolo, superabile se lo desideriamo sinceramente. Novanta praticanti insieme erano per me un panorama insolito e non ho resistito alla tentazione di guardarmi un po’ intorno. Ho visto anche che Hirosuke si era alzato dalla sua sedia e girava tra i praticanti. Allora ho richiuso gli occhi e mi sono concentrato sul mio movimento. La pratica era accompagnata dalla musica e in quel momento nella sala risuonava una chitarra spagnola con “Asturias” di Isaac Albeniz, il pezzo preferito di Roi sensei.

Ad un certo punto ho sentito quello che potrei definire solo come... un vento. Una specie di spirale vorticosa che, attraversandomi, ha fatto sì che nel mio corpo scattasse un movimento intenso e libero. Hirosuke era dietro di me - anche se non lo avevo sentito giungere - e le sue mani mi hanno sfiorato appena, senza nemmeno toccarmi davvero. Il vento di cui queste mani erano portatrici, chiaro, intenso, pulito, ha soffiato dentro di me senza trovare alcuna resistenza, anzi sciogliendola. Questo soffio mi ha comunicato una sensazione di grande benessere trasportandomi lontano e al contempo vicino, dentro di me. Sono grato a Roi sensei per avermi fatto sentire quest’aria gentile, questo respiro unificante, che non avevo mai sentito prima. È stato un vissuto talmente limpido che ho l’assoluta certezza che ne serberò sempre un vivo ricordo.




Alla fine della seduta, dopo un breve momento conviviale, Hirosuke sensei si è ritirato nell’antica casa di sua madre adiacente al dj. Questa casa, con il suo delizioso giardino preesisteva al djche fu costruito all’interno della proprietà Noguchi poco più di trent’anni fa. Nei giorni precedenti alla venuta di Hirosuke avevo potuto eccezionalmente visitarla nel suo interno anche perché ho dato una mano per pulirla e prepararla in vista del suo arrivo. È una vera casa tradizionale, con spazi ristretti e piccole stanze con tatami e porte scorrevoli in legno e carta. Facendo scorrere le persiane, essa si apre sul giardino creando quel magico rapporto tra interno ed esterno che forse solo le case giapponesi sanno mettere in luce così bene. In ogni stanza e nei piccoli corridoi ombrosi ci sono calligrafie appese alle pareti, forse di Haruchika, forse di Akiko. Il mobilio è semplice, un po’ demodé, con qualche vecchio apparecchio musicale e altri oggetti simili che riportano indietro agli anni ’60/’70 o giù di lì. Anche la stanza da bagno è sorprendentemente piccola ma graziosa, ricavata nella parte posteriore della casa, vicino alla cucina.

Quando Hirosuke veniva a Kytera qui che abitava e trascorreva il tempo extra lavorativo. Lo passava in quieta solitudine, anche perché, per scelta, non si era mai sposato e, facendosi carico di una gravosa responsabilità, decise di consacrare tutto il suo tempo e le sue energie allo sviluppo del Seitai Kykai, alla diffusione delle pratiche ad esso connesse e alla divulgazione delle opere e del pensiero di suo padre Haruchika.

Hirosuke si trovava dunque nella sua dimora mentre io mi adoperavo insieme agli altri per ripulire il djdopo la pratica (tutto un formicolare laboriosissimo di stimati tecnici seitai alle prese con aspirapolvere, scopette e quant’altro). Sono stato allora raggiunto dal sig. Onizuka che mi ha detto di lasciare ogni cosa perché Roi sensei desiderava parlarmi e mi invitava a bere una tisana nelle sue stanze. Tutti erano assai sorpresi di questa cosa perché a quanto pare accadeva assai raramente che qualcuno ricevesse questo tipo d’invito.

Sono entrato allora nella casa di Akiko Noguchi, passando dal retro, dalle cucine non più vuote ma ora occupate da diverse donne assai indaffarate che preparavano il pranzo. C’era un gran fermento di attività intorno a tavoli e fornelli, un vociare allegro e sguardi incuriositi attraverso i quali sono passato divertito, imboccando gli stretti corridoi che mi avrebbero condotto da Hirosuke sensei. Lo ammetto, mi sembrava quasi di dirigermi verso le stanze dell’imperatore o di un importante daimydell’epoca. Un’atmosfera un poco surreale e allo stesso tempo assai divertente. Di fatto, non mi sentivo affatto intimorito e la cosa non mi sorprendeva nemmeno troppo.




Quieto e sorridente mi sono diretto verso la sala in fondo alla casa - quella che nell’angolo, tirando le persiane di legno, si apre deliziosamente su due lati diversi del giardino - e salutando come conviene fare quando si entra con il dovuto rispetto, mi sono accomodato, in seiza, sui tatami di paglia.

In centro stava un bel tavolo basso di legno. Alla mia sinistra, su l’altro lato del tavolo, il sig. Onizuka. Di fronte a me, dall’altra parte, Hirosuke Noguchi con un sorriso molto affabile.

La situazione - invero assai divertente e “giapponese” - era grosso modo questa. Hirosuke non parlava inglese ed io non parlavo giapponese. Onizuka, che a sua volta non parla inglese, era peraltro presente in qualità di mio interprete! Ho potuto apprezzare fino in fondo quanto il parlare una stessa lingua non sia che uno degli aspetti della comunicazione, e accorgermi di come si possa dialogare insieme per un’ora abbondante pur parlando idiomi diversi. La funzione del sig. Onizuka in quel contesto mi pareva essere quella di un tramite, un ponte; permetteva che il mio ki e la mia voce scorressero senza intoppi verso Roi sensei. Ascoltando le mie parole e comprendendole seppur quasi solo intuitivamente - lui che però mi conosce assai bene - favoriva che anche per Roi la comprensione fosse più facile. Quattro orecchie invece di due, due cuori invece di uno. In quanto a Hirosuke, il modo in cui si rivolgeva a me era assolutamente straordinario e lo ricordo come fosse ora. Mi parlava in giapponese, con parole lente, posate, cadenzate. Con un sorriso sempre presente, un tono dolce e un ritmo che non suscitava in me alcuna resistenza, si rivolgeva a me come se la lingua giapponese fosse assolutamente evidente. E la cosa stupefacente è che... io capivo! Proprio come può avvenire durante il sonno quando si sogna in una lingua che il nostro conscio crede di non sapere.

Di cosa abbiamo parlato? Roi sensei ha voluto sapere del mio percorso e di cosa mi avesse portato in Giappone e ho provato a rispondergli senza saltare troppe tappe. Mi ha chiesto anche se avessi conosciuto il sig. Itsuo Tsuda e gli ho raccontato che no, avevo solo sfiorato l’incontro con lui poco prima che si ammalasse ma che l’avevo conosciuto tramite i suoi allievi, traducendo tutti i suoi libri e sognandolo per tre volte (ho descritto i sogni con dovizia di dettagli). Di Tsuda, gli ho detto anche che ero fiero di riportarlo in Giappone, di farlo conoscere a chi non sapeva chi fosse, dopo che lui aveva attraversato l’oceano per portare a noi europei il Seitai così come lo aveva ricevuto da Haruchika sensei.

Hirosuke poi ha anche parlato di voler venire lui in persona in Europa per diffondere ancor di più il Seitai e il Katsugen undo, di voler coinvolgere il maggior numero di persone possibile, anche i bambini, in queste pratiche. Cercava qualcuno che organizzasse per lui un grande stage europeo, in una grande sala di una grande città... qualcuno che sapesse dare corpo a un evento di forte risonanza. Lo ascoltavo affascinato ma dentro di me mi dicevo: non potrei essere io quella persona, non ne sarei all’altezza e, soprattutto, non avrei lo slancio per farlo. Dentro di me, allora, cullavo il sogno di poter portare Onizuka Takashi sensei in Italia. Infatti, il suo stile combaciava - e combacia tuttora - molto di più con il mio ed ero pronto a farmi in quattro per organizzare la sua venuta. Detto tra noi, ci sono tanti modi di intendere la filosofia Seitai e la sua messa in pratica e, senza necessità di comparazioni e competizioni, trovo importante che ciascuno si avvicini al modo di esprimerla che più sente vicino.

“Vengo solo se posso fare un piccolo stage nel tuo dojo milanese. Vengo per te e per i tuoi amici, non c’è bisogno che tu reclamizzi troppo la cosa. Vengo per aiutarvi a sentirvi più uniti, interi e solidali nella vostra pratica” questo mi diceva il sig. Onizuka.

Gli eventi e la storia non hanno in seguito reso possibile questo suo viaggio europeo, ma provo un’immensa gratitudine verso Takashi sensei per tutto quello che, con discrezione e leggerezza, sta riuscendo a comunicarmi.

Bevendo una tisana alle erbe (Hirosuke ne era appassionato e mi ha chiesto di mandargliene dall’Europa) questo sereno incontro tra tre quasi sconosciuti che sembravano conoscersi bene - incontro invero piuttosto speciale per me - è giunto alla sua fine e così anche la giornata passata insieme a Roi sensei. È stata la prima e l’ultima volta che ho potuto incontrarlo e ringrazio voi che forse avete avuto la pazienza di leggermi fino in fondo perché, per parlarvene, ho dovuto scavare un po’ nei miei ricordi, rinfrescandomi con piacere la memoria.




Milano, 21 agosto 2019

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