giovedì 25 marzo 2021

L'Aspirina era un talismano

 


Se quando piove ti senti nella pioggia che cade,
se quando soffia il vento sei dentro nell'aria che spira,
allora realizzerai con piacere cosa significhi vivere in buona salute"

Haruchika Noguchi




L’Aspirina era un talismano, ora è solo un ricordo

Alla fine, ecco che mi trovo a scrivere anch’io su quel che penso di tutto ciò che stiamo vivendo. È da una parte una necessità personale, qualcosa che s’impone a me nonostante una certa sfiducia nella comunicazione via social, e dall’altra il desiderio di portare un minimo contributo in forma di pensiero a chiunque si ponga oggi domande in merito alla questione “salute” e abbia la pazienza di leggermi.

In primis, sento che sarà importante, necessario e molto utile che ciascuno di noi “umani” nei mesi e anni a venire faccia sentire la sua voce e manifesti il proprio (nei limiti del possibile) libero pensiero: ciò per far sì che la direzione che prenderà il mondo in questo periodo di cambiamento profondo sia di un tipo piuttosto che un altro, verso una decrescita felice (meno consumi, meno prodotti inutili e per niente “necessari” d’acquistare, meno spreco energetico, meno inquinamento di tutti i tipi) e verso una crescita di ciò di cui oggi siamo tanto carenti (più amore, più ascolto, più eguaglianza, più creatività, più rispetto in qualunque sua forma, personale e collettiva).

Approvo quasi a priori - ripeto quasi - chiunque parli in prima persona (è di questo che abbiamo bisogno, non di insistere a prender partito sulle idee e i contenuti di altri) e che sollevi e ponga l’attenzione su un aspetto che io trovo fondamentale: smettiamo di credere che la risposta e la “soluzione” venga da fuori, da altri, da sedicenti esperti, maestri, guru, specialisti. Non aspettiamo che questa soluzione ci sia servita su un piatto dorato.

Da quarant’anni ormai (seppur con tutti i passaggi dovuti alle mie diverse esperienze e ai salutari mutamenti in termini di coscienza e crescita personale) credo, vivo e cerco di comunicare, mediante il mio lavoro e quello che metto in pratica, che non abbiamo bisogno di preti per comunicare con dio, di medici per essere in salute, di scienziati per dirci come vivere, di maestri che ci insegnino cosa dobbiamo o non dobbiamo fare.

Mi spiego meglio: preti, medici, scienziati e maestri fanno un lavoro utile, a volte encomiabile, a volte fantastico. Li rispetto profondamente e sono loro grato, come sono grato ai bikers che fanno le consegne, ai contadini che coltivano ciò che mangio o al signore dal mantello nero che, sotto casa mia nel centro milanese, gira a ogni ora del giorno in bicicletta facendo risuonare campane e campanelle per “svegliare” la città e i dormienti. Chiunque operi con generosità, sincerità e serietà per il bene proprio, per quello degli altri e quello del pianeta in cui viviamo gode del mio pieno rispetto.

Tuttavia, appena comincio a sentire l’odore o molto spesso l’olezzo della Verità con la V maiuscola e di chi ritiene di esserne detentore, i miei anticorpi - probabilmente ben allenati - entrano in azione e si ribellano appassionatamente. Non c’è quasi nulla che sopporti meno del sentire qualcuno che ritenga di sapere cosa sia meglio per me e che manifesti con assoluta certezza cosa dovrei fare o non fare della mia vita. Ammantando magari il suo discorso di un sedicente bene collettivo da rispettare (chi stabilisce se sia proprio quello il bene?) e facendo scattare in noi, se si finisce per agire diversamente, il passivo e frustrante senso di colpa di cui tanto si è abusato nel passato per calmare spiriti e bollori divergenti e da cui, per grazia ricevuta, sono in gran parte immune anche per l’educazione ricevuta da mio padre e mia madre (cosa per cui sarò loro sempre riconoscente).

Ricordo che a circa sei anni, quando frequentavo l’International School of Milan, fui mandato fuori dalla classe da Mr. Xavier Sanson (l’insegnante di musica venezuelano peraltro assai simpatico). Probabilmente facevo casino e per punizione fui invitato a meditare sul mio comportamento fissando le pareti che facevano angolo con la stanza della preside dell’istituto.
In quel mentre passò una suora a consolarmi.
«Bravo bambino, ma tu credi in dio?» mi disse, rimanendoci molto male quando le risposi un po’ seccamente di no.
«Ma allora non credi in niente» replicò impettita.
«Certo che sì, credo nella Vita» le dissi io con molta convinzione e lasciandola un po’ senza parole. Ricordo anche che Giulio e Susi, i miei genitori, furono molto contenti che io avessi dato questa risposta, salita istintivamente dal cuore e non certo frutto della riflessione.

La salute non è una questione di scienza né di medicina: sono stanco di esser bombardato da questa forma martellante di condizionamento. Un condizionamento nocivo e fastidioso. Trovo inoltre - apro e chiudo la parentesi - provinciale, settario e di strette vedute chi riconosce un’unica scienza o solo alcuni criteri che la definiscano. Innumerevoli Scienze umane sono esistite nella storia e nelle varie culture e se le rispettiamo o no (se siamo in grado di capirle o meno) è solo una questione di scelte, di studio, di conoscenza.

La salute è sentirsi acqua con le gocce di pioggia e sentirsi vento mentre esso spira, sì, essa è anche questo. Soprattutto, la salute non è una guerra contro un nemico (virus x o y o quant’altro) e non equivale all’assenza di malattie poiché è anche grazie le malattie che manteniamo il nostro equilibrio. L’equilibrio: magica e complessa parola, vogliamo discutere di quanti elementi contribuiscono a mantenerlo?
L’equilibrio/salute riguarda la vita di ciascuno noi, ciascuno ne è responsabile e ciascuno dovrebbe esser totalmente rispettato nelle sue scelte (e anche ascoltato se abbiamo empatia, compassione o semplice desiderio di conoscere/amare l’altro).

Il mio equilibrio/salute non è mai dipeso di farmaci. Ricordo benissimo quando presi l’ultima aspirina: avevo 17 anni, oggi ne ho quasi 40 in più, e andavo al cinema con una bella ragazza che volevo conquistare (il film era il primo Indiana Jones e io ero convinto che le aspirine avessero un potenziale quasi magico, sic... Poi, anche per via di forti bruciori di stomaco cambiai fortunatamente idea).
Da quel giorno, la mia relazione con le medicine si è interrotta completamente: solo qualche anestesia quando mi è stato devitalizzato un dente o i prodotti chimici che ho ingerito mio malgrado con il cibo.

Eppure sono qui, sto bene, credo di aver un discreto sistema immunitario (anche stimolato dalle mie scelte) e un corpo che per ora reagisce in modo vitale. La cosa non dovrebbe aver comportato danni per nessuno e semmai credo di aver fatto risparmiare qualche soldo alle casse dello Stato e alla Sanità pubblica. Ho imparato invece ad avere molta fiducia nelle capacità del mio organismo di autoregolarsi e riequilibrarsi da sé (fiducia che è nata ed è aumentata con l’esperienza). Infatti, sono cresciuto con e grazie alle mie malattie. Attraversarle e viverle fino in fondo, senza limitarmi a nasconderne i sintomi, mi ha permesso di scoprire e coltivare l’introspezione e la consapevolezza. Ho cominciato anche a comprendere come funziona il mio organismo e come la vita lavora in noi. Come per tutti, le malattie (ovvero le fluttuazioni della mia salute) vissute negli anni non sono state poche. Potrei elencarvele: le ricordo tutte, le collego tra loro e ne vedo il nesso. Un nesso che solo io so spiegarmi ma ciò è normale perché chi più di noi può affermare di conoscere il proprio corpo? Di certo non combatto contro le malattie e non le temo.

Vorrei usare le belle parole di un amico perché mi corrispondono bene: quello di cui vi parlo è personale e non definitivo, domani potrei pensarla in modo ben diverso.
Dicendo quello che penso, non sto invitando altre persone a fare come me, me ne guardo bene. Dico solo che un’altra visione sul tema salute è possibile.
È il mio modo di vedere, il mio credo: non credo nel dio denaro, non credo nel dio vaticano, non credo nel dio scienza però credo nel dio Vita. Ognuno creda nel dio che vuole ma non ditemi quale debba essere il mio.

Siamo invitati in questi giorni a “non lasciar cadere la guardia” e sono d’accordo perché capisco a cosa ci si riferisce ma in cuor mio, se devo dirla tutta, non mi sono mai sentito “in guardia” né sulla difensiva. Potrei qui ed ora abbracciare tutti i miei cari e qualunque altra persona nella strada senza nessun timore e la stessa cosa valeva un mese fa quando eravamo nel pieno dell’emergenza. Se non lo faccio e non l’ho fatto è solo per rispetto delle regole comuni (finché queste avranno diritto di esser considerate rispettabili) e del vivere collettivo, per rispetto delle convinzioni e dei timori di ciascuno, per rispetto di chi non la pensa come me e perché coltivo un margine di “ragionevole e scientifico” dubbio. Se non ho “trasgredito” è per puro senso di responsabilità e per autonoma capacità di agire, di pensare, di intendere e di volere.

Non sono contento però che questa capacità di responsabilità non mi sia riconosciuta da chi ci governa e amministra, non sono contento di avere guardiani ed elicotteri che controllino i miei spostamenti quando gli stessi “addetti all’ordine” potrebbero benissimo occuparsi di tenere parchi e giardini aperti invitando, se necessario, i meno attenti al rispetto di norme comuni condivisibili e di buon senso.

Bisogna aver fiducia nella Vita, negli altri e in se stessi, questo vorrei proprio sottolinearlo.





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