Frammenti di un viaggio
(dic 2007 - gen 2008)
Ki spot Hieizan
Breve premessa
Un viaggio infinito. Migliaia di
chilometri separano Kyoto da Milano. Sull’aereo, guardavo il display che
indicava lo spostamento del nostro bianco velivolo sul verde continente
asiatico e avevo davvero l’impressione dell’immobilità. Quanto è lunga l’Asia…
Arriverò mai in Giappone?
Dentro di me questa avventura si
preparava da almeno vent’anni, tanti davvero, e forse da qui nasce una certa incredulità
per il fatto che si sia realizzata. Sono contento che ciò sia potuto avvenire.
Per lungo tempo il Giappone si era
allontanato dai miei desideri e avevo semplicemente dimenticato che il sogno di
poterlo esplorare tanto aveva nutrito il mondo immaginario della mia tarda
adolescenza.
All’improvviso, l’anno scorso, è
tornato alla ribalta, così, senza premeditazione, quasi per “caso”.
L’incontro con due persone, poche
parole scambiate ed eccomi imbarcato per un viaggio tutto aperto e senza alcuna
certezza. Tuttavia, che si trattasse del momento opportuno per farlo e che quei
luoghi in un certo qual modo mi attendessero, lo hanno confermato i fatti.
Inoltre, come spesso accade quando
riusciamo a raccogliere energie sufficienti per spiccare il salto e tuffarci in
un’acqua più grande di noi, nuotarci dentro diventa poi un piacere. Forse anche
più di un piacere. La soddisfazione personale che nasce dalla realizzazione di
un progetto a cui teniamo in modo particolare cede lo spazio alla
consapevolezza che i sogni vanno
concretizzati perché possano lasciare una traccia nelle nostre esistenze. Una
volta di più scopriamo che ciò è possibile.
Le pagine che seguono sono un breve
resoconto scritto a caldo di una piccola parte del mio viaggio giapponese. Si
tratta più che altro di una corrispondenza che ho intrattenuto con allievi e
amici sulle mie esperienze in materia di aikido. Con qualche divagazione
personale rispetto al tema.
Itsuo Tsuda ricordava che Morihei
Ueshiba mentre muoveva liberamente la sua spada di legno nello spazio
tracciando cerchi, spirali e ampi vortici accompagnava il gesto con le parole “Fure,
fure…”. Mi sembra di ricordare
che Tsuda le traducesse con “Mescola, mescola…”.
Ecco allora che il bokken, più che una spada, diventa lo strumento per
ridestare la nostra vitalità, l’Aikido diventa un invito a scorrere insieme al
ki della vita, e i viaggi come questo, rimescolando tutte le carte, ci aprono a
nuovi incontri e mettono in circolo energie nuove e fresche.
I
Ohayoo gozaimasu... buon mattino, buon giorno a chi si sveglia
ora.
Ho un po’ di tempo e vorrei
raccontarvi dell’aikido che finora ho potuto praticare qui a Kyoto.
Il tutto premettendo che il maestro di
aikido più interessante che io abbia incontrato in questi giorni è il sig.
Onizuka che, di fatto, più che l’aikido pratica il katsugen undo (movimento rigeneratore) e il seitai soho (tecnica seitai). Che senso ha allora parlare di aikido nel caso
di questo cordiale e al contempo deciso maestro giapponese?
Quando egli si appresta ad applicare
la tecnica seitai o anche quando semplicemente ti siede di fronte e ti parla,
senti istintivamente quanto la sua posizione sia centrata e presente. Il suo
corpo interagisce con il tuo in modo armonioso e diretto. Distanza e vicinanza
sono rispettate, equilibrate, sensibili. Il suo modo di toccare è semplice,
netto e gradevole. Le sue parole ti giungono chiare e ti senti ascoltato,
compreso e rispettato nel tuo ritmo. Pur non praticando affatto l’arte vera e
propria dell’aikido, egli si muove, respira, agisce in un continuo stato di ki-ai e di yuki, (ki gioioso che scorre e si incontra) e questo rende per me
estremamente interessanti i momenti che posso trascorrere con lui. E’ dunque
questo un periodo di apprendistato fecondo e intenso. Che continuerà.
Non ho trovato la stessa qualità né
tanto meno la stessa respirazione in nessuno dei tre insegnanti di aikido che
ho potuto finora incontrare qui a Kyoto, ma è stato comunque interessante. E,
in modi e circostanze diverse, ho potuto mettermi alla prova, verificare a che
punto sono e dove sono i miei limiti.
Di base ho sempre cercato di mantenere
presente che quando andiamo in un dojo di una scuola diversa da quella a cui
apparteniamo, è per imparare qualcosa di nuovo e non per mostrare quello che
già sappiamo. Ho cercato allora di adattarmi il più possibile alle “forme” che
mi sono state proposte e di cogliere i lati buoni - per me - dei diversi
insegnamenti che ho potuto ricevere. In ogni caso, rimango dell’idea che si
impari ovunque si vada: l’aikido mi appassiona talmente tanto che anche
praticarlo in uno “stile” davvero diverso da quello a cui sono solito mi pare
utile e divertente.
Forse perché oggi ho sviluppato una
buona capacità di adattamento e padroneggio una discreta tecnica che mi
permettono di rimanere me stesso e di non soccombere ad inutili desideri
dimostrativi o di performance.
Forse anche perché vedo di più la
situazione, le persone che ho di fronte e il ki.
Forse perché ho davvero il desiderio
di incontrare gli altri attraverso l’aikido e questo viene percepito, rendendo
tutto piuttosto facile.
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