Scrivere richiede molto tempo. Ma non riesco ad
essere sintetico e ho un certo desiderio di mettere per iscritto il più
possibile del mio vissuto qui a Kyoto. E di condividerlo con voi.
Un mese piuttosto incredibile, questo, di una
densità spaventosa. Mi sembra di aver accumulato nutrimento per mesi, forse per
anni.
Qui nel dojo di Onizuka mi chiamano “il terremoto
italiano”, the italian earthquake :
la cosa mi fa sorridere pensando che solo pochi mesi fa mi sentivo come un
deserto inaridito. Ma c’è il tempo del deserto e quello dei terremoti e... sono
belli e fecondi entrambi.
Continuo ora con la mia esperienza nell’ambito
dell’aikido. Spero di non tediarvi. Mi piace pensare che non sia così.
Seconda lezione: Dojo del Maestro Takahashi (Mitsumame Institute)
E’ stato allievo di Tanaka Bansen che, a sua volta
frequentò il dojo di Morihei Ueshiba negli stessi anni in cui vi praticava
anche Itsuo Tsuda.
E’ sera. Ci arrivo con Yoshiko Nishimura, una
donna generosissima a cui devo molto in questi giorni. E’ lei che mi traduce le
parole di Onizuka in inglese e che mi aiuta in mille modi. Penso che sia molto
contenta del “super” lavoro che sta facendo. A volte siamo stanchissimi
entrambi. But happy.
Siamo attesi alla lezione. Raccomandati da una
praticante di iaido che
partecipa anche alle sedute di katsugen undo nel dojo di Onizuka.
Sta finendo una lezione per bambini e ragazzi. Ne
vedo un pochino. Atmosfera simpatica e piuttosto rumorosa. Un po’ sportiva.
Mi cambio sulle scale (qui gli spogliatoi sembrano
non aver dimora, forse li si considera spazio inutilmente sprecato e quindi se
ne fa a meno. Non hanno poi tutti i torti).
Uno, due, tre e ... via! Il ricambio è immediato,
fuori i piccoli e dentro i grandi che spuntano da tutte le parti come per
miracolo (non li ho visti cambiarsi).
Saremo circa 25 praticanti. Il dojo è piuttosto
grande, un centinaio di metri quadri.
Davanti coloro che portano l’hakama, dietro gli altri. Mi metto in seconda fila.
All’arrivo mi sentivo stanco e un po’
infreddolito. E forse per questo anche un po’ teso. Allora ho cominciato a fare
quello che in questi giorni faccio sempre: la respirazione lungo la spina
dorsale, giù fino all’addome che aspira. Mi concentro sull’inspirazione che va
indifferentemente su e giù per la colonna e espiro senza porvi troppa
attenzione. Mi fa un gran bene, mi aiuta a concentrarmi e a distendermi.
Provate...
Il maestro Takahashi l’ho incontrato sulle scale.
Ci siamo dati la mano cordialmente. Mi sembra un tipo gentile, non più
giovanissimo (settant’anni?), un po’ stanco forse, di poche parole.
Quattro battiti di mano e l’inchino verso il tokonoma dove stanno la calligrafia e le foto di Ueshiba e
di Tanaka Bansen. Poi facciamo una serie di movimenti di riscaldamento. Alcuni
sono gli stessi che abbiamo anche nella nostra Pratica Respiratoria. Non c’è
però alcuna particolare attenzione posta sulla respirazione. Né sul ritmo.
Qualche flessione e piegamento: senza esagerare...
Si comincia. Vengo affidato alle cure di un certo
Honda che si presenta. Anch’io vengo a mia volta presentato dal maestro
Takahashi: “Itaria no sensei”,
maestro italiano... bene, non devo sfigurare. Ma Honda, gentile e bendisposto,
è quadrato e massiccio, del genere “piuttosto che mi piegarmi mi spezzo”. “Watakushi
karate!”, io karate, me lo dice
lui ma l’avevo già capito dal suo corpo. Con Honda ci scaldiamo con spostamenti
vari e scivolamenti di piedi poi siamo raggiunti da altri quattro, tra i quali
una ragazza. Anche qui si pratica in gruppo, uno dopo l’altro senza
interruzione. Ogni tecnica dura abbastanza a lungo, c’è il tempo di farla
ciascuno diverse volte. Non ci sono tempi morti.
Iriminage… shihonage… yonkyo… Mi muovo con una certa scioltezza perché in
questi giorni mi sento molto bene fisicamente. Cado anche morbidamente, in un
modo un po’ diverso dagli altri che tendono a cadere pesantemente a terra, tipo
judo, sbattendo forte le braccia sul suolo. Yoshiko mi confermerà dopo che il
mio modo di muovermi era molto diverso dagli altri e che, per lei che assisteva
all’aikido per la prima volta, si trattava come di due mondi differenti.
Takahashi si avvicina allora a Yoshiko e parlando di me dice:
“Lui è un sensei. Digli però
di non essere così gentile con i miei allievi” e mi fa segno di essere più
deciso, di non esitare, di non risparmiarmi. In realtà non mi sto risparmiando
affatto ma so benissimo che forzando i ritmi o l’intensità dei miei movimenti
finirei soltanto per impormi maggiormente. Utilizzerei più forza senza senso né
giovamento per nessuno di noi. Non ne ho voglia, non mi interessa, non ne ho
bisogno. Honda è gentile, molto forte ma un po’ ottuso. Molto difficile che
qualcosa passi. Più facile con la ragazza che è molto più morbida. Peccato che
si sforzi tanto di rafforzarsi e di indurire le braccia. Non le farà bene.
Dopo un po’ Takahashi torna da Yoshiko e mi dice
di avvicinarmi. Deve chiedersi: “Ma che razza di aikido pratica questo qui?”.
Allora mi sorprende chiedendomi se sono disposto a mostrare, nella mezzora
rimanente, lo stile della mia scuola. Certo che sì, rispondo, eccomi alla
prova. “Cosa mostri?” mi chiede. “Non lo so... vedrò...”. Ed è vero, non ho
nessuna idea e non è un contesto semplice in cui mostrare qualcosa. Senza
parlare il giapponese per giunta. Ma sono felice e onorato della sua proposta,
significativa e generosa. E’ l’occasione per dire qualcosa. Mi tuffo.
Il maestro mi chiama fuori e mi chiede di
presentarmi. Qual’è il nome del mio dojo e che aikido pratico? L’Aikido di
Tsuda, dico, e il mio dojo si chiama “A ke lei naa” un nome africano (...) che
vuol dire “grazie”. Ahh, sooo....
Poi vado a ruota libera. Takahashi chiama fuori Honda come uke. Honda arriva velocissimo in seiza, pronto all’azione. E’ il mio turno di spiazzarli
tutti e lo faccio velocemente, senza esitare. Uno schiaffo all’etichetta ma al
diavolo l’etichetta, il mio obiettivo è riuscire a mostrare qualcosa
dell’aikido di Tsuda, del mio aikido, e con Honda non ci riuscirei.
“Posso cambiare uke?” chiedo a Yoshiko di tradurre le mie parole.
Sgomento generale e un po’ di stupore. “Vorrei LEI” e indico la ragazza che
praticava nel mio gruppo. La risata esplode fragorosa. Tutti credono forse che
scelga una ragazza per faticare di meno o per aver vita facile. O forse ridono
e basta.
Io comunque voglio mostrare nikyo sull’attacco shomen uchi
ed è quello che faccio. Voglio mostrare che la respirazione nell’aikido è
importante. Che quando inspiri
il partner lo inviti ad un’avventura gioiosa. Che se hai di fronte una ragazza
non per questo devi brutalizzarla o dimostrarti più forte (vale anche per gli
uomini...). Ka - mi, il respiro passa e ottengo l’attenzione che
cerco. Senza tensione.
Poi tutti provano questo modo di fare così nuovo
per loro. Piace. Uno mi chiede “please please, show it again”. Corro a destra e sinistra a correggere un po’
tutti senza ritegno alcuno né rispetto per i gradi. Lo faccio simpaticamente e
con decisione. Mi diverto un sacco. Kokyu (respirazione)... Ki no nagare (il ki scorre)... Maru, maru, okii maru (cerchio, grande cerchio)... sono le parole che
uso di più.
Ecco che questa serata ha acquisito un senso tutto
particolare. Honda alla fine mi dice di aver imparato tantissimo. Anch’io. Si
brinda con il sake all’inizio
dell’anno nuovo. E i piccoli dolci di riso sono deliziosi.
Kyoto,
11 gennaio 2008
(continua...)
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