Ho guardato
bene.
Per almeno
mezzora nessuna delle ragazze si è lasciata scappare fosse anche un piccolo
sorriso. È la lezione di un grande danzatore, uno che si muove come un felino,
con grazia, potenza e agilità.
Lui.
Le ragazze che
stanno dietro corrono al suo inseguimento, cercano di prenderlo. Sono talmente
concentrate per non sbagliarsi nei passi della coreografia che i loro visi non
riescono a perdere una smorfia di fatica mista ad una certa disperazione:
potranno mai, un giorno, danzare bene quanto lui? Diventare danzatore o
danzatrice è solo un sogno lontano, perso nelle nuvole di un futuro incerto.
Per il momento, molto sforzo e poco piacere. Si lavora per il domani. Corpo e
mente sembrano tagliati in due. La mente, dal canto suo, a volte è soddisfatta;
quando afferra il problema, quando capisce come fare, come eseguire la forma.
In questi frangenti la mente si diverte ma il corpo non prova alcuna
soddisfazione profonda. Soffre soltanto senza avere coscienza dello scarto tra
il dentro e il fuori, tra quello che siamo e quello che ci sforziamo di
divenire. Da fuori, però, io vedo tutto questo. Lo vedo perché sento le
respirazioni di tutti e mi armonizzo con esse. La respirazione non mente, so
quello che dico.
Il ritmo è
spezzettato, venti secondi esplosivi poi ci si ferma e si ricomincia. Così di
seguito, ancora e ancora, per una lezione intera. È per imparare la forma,
impararla ad ogni costo, per non rimanere indietro, per non soccombere. Come
respirare in questo contesto? Di fatto, questa lezione non offre mai questa
possibilità, di respirare, di ascoltarsi respirare. Tutto procede senza tregua,
senza pause, senza respiro, senza umanità, oserei dire. Solo una bella immagine
esteriore di energia e di atmosfera felice... Sì, esteriore perché, dentro, i
ventri non ridono e vedo solo tensione. La tensione interiore non è altro che
il frutto della frenesia e della continua spinta verso l’espolosione. Non sarà
mai seguita da una vera distensione ma solo da una fatica che a volte avrà il
gusto della riuscita, a volte dell’insuccesso.
Per me, il
piacere e la soddisfazione sono ben altra cosa. Piacere è sinonimo di
soddisfazione di un bisogno naturale e profondo. Per sentire questo bisogno,
per lasciargli la parola, per lasciarlo esprimere è necessario connettersi con
il proprio sé interiore. Lasciare lo spazio affinché l’espressione possa
scorrere liberamente. Se la frenesia e il ritmo incessante della lezione non
concedono spazi vuoti perché qualcosa di spontaneo possa manifestarsi, ogni
vitalità si spegne e ogni piacere naturale svanisce con essa. La vitalità
naturale del corpo può esprimersi solo quando la mente è calma e serena, quando
non è ingombrata dalla preoccupazione della riuscita o dell’apparenza. Quando
la mente accorda il giusto valore a questo qualcosa che può manifestarsi emergendo dal più profondo di
noi stessi e sa riconoscere che è in questo fluire spontaneo ed involontario
che risiede ogni vero piacere, allora si mette al suo servizio e lavora per la
sua realizzazione. Diventa capace di operare per creare il vuoto necessario, lo
spazio vitale, la respirazione che sono necessari per un’autentica espressione
di sé. È una grande fortuna se la mente, la volontà e la coscienza lavorano in
armonia con una parte di noi (la più grande) che è irrazionale, involontaria e
inconscia. È ciò che possiamo definire armonizzazione dell’essere. La sorgente
del vero piacere.
Il mondo,
questo mondo, va veloce. Va più veloce del nostro ritmo interiore, noi facciamo
molti sforzi per seguire, per non perdere la terra sotto ai piedi, e impegniamo
tutte le nostre migliori volontà per resistere.
Ma ritengo che
sarebbe una buona cosa di uscire da questa lotta perpetua nelle nostre vite
quotidiane e, almeno, per cominciare, farlo durante le lezioni di danza: perché
ripetere questo schema che ci porta solo alla sofferenza? Ogni volta che il
nostro ritmo personale viene alterato noi ne soffriamo. La danza dovrebbe
adattarsi ai ritmi personali delle persone. Siamo tutti diversi ed unici. Ecco
perché penso che le coreografie siano la morte di ogni danza sincera. Una
coreografia non è altro che la ripetizione, sotto forma di danza, di tutto ciò
che non amo in questo mondo: uniformità, conformismo, morte dell’individuo e
della sua creatività, fine del piacere semplice e naturale a favore
dell’apparenza e di un egualitarismo sterile.
Ho guardato
bene.
Siamo in un
altro luogo e ci sono una ventina di ragazze, qualche ragazzo ed io tra loro.
E’ una lezione di una donna che è in ricerca. Cerca la vitalità dentro i suoi
allievi e cerca di affinare i propri strumenti per aiutarli ad esprimere questa
vitalità. Il suo scopo è quello di individuare delle chiavi e dei codici e di
comunicarli il più chiaramente possibile. Lei è consapevole che se padroneggiamo
queste chiavi e questi codici siamo in grado di danzare il sabar da soli, senza
bisogno di maestri o di guide. Lei sa che lo slancio viene da dentro, che la
vita è in noi tutti senza eccezione. Ci aiuta a prenderne coscienza. È uno
scopo nobile. Lo condivido e lo sostengo.
Ecco le venti
persone riunite in cerchio, ecco che cominciano un discorso tra loro e con i
musicisti. Ognuna ha il suo discorso, ognuna lo esprime a modo suo entrando nel
centro del cerchio e danzando. Sole e uniche, danzano sotto lo sguardo di
tutti, si vedono e sono viste. Una gioia profonda si esprime nei loro visi. La
condividiamo tutti insieme. Tutte, ripeto, tutte sorridono. Fa bene al mio
cuore e al cuore di tutti noi. C’è emozione, fierezza, respirazione…
Sì, ho
guardato bene ed è questo che voglio rivedere.
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