domenica 19 gennaio 2014

Aikido a Kyoto (2)

(segue)




Prima lezione: Dojo del Maestro Higuchi Takanori, Takemusu aiki (Iwama ryu)

Higuchi sensei è stato allievo di Saito Morihiro e di Tanaka Bansen. Ha ricevuto il 3° dan da Ueshiba Morihei e molti notevoli riconoscimenti dagli altri maestri.

Il Dojo si trova in una viuzza nel centro di Kyoto. Avevo spedito un’email qualche settimana prima di partire per il Giappone, senza ricevere risposta. Giunto qui, Sayoko, una cordiale signora giapponese che mi ha molto aiutato durante questo soggiorno, gli ha telefonato per chiedere se potevo partecipare ad una lezione. Lui ha risposto di sì ma che dovevo confermare la mia presenza e venire con un’interprete giapponese. Sul momento ho dunque deciso: non era consentito esitare. L’indomani, in orario serale, Sayoko ed io ci siamo presentati al dojo. Un allievo ci ha cortesemente mostrato dove potevamo parcheggiare la bici e poi ci ha condotto su per le scale fino ad una piccola stanza al primo piano. Lì, ci ha accolto il sig. Higuchi che, fin dal primo istante, mi ha dato l’impressione di voler mantenere le distanze. Forse la formalità del suo sorriso, forse la sua postura ostentatamente dritta da vero maestro giapponese (seduto in seiza, un po’impettito) facevano sì che non mi sentissi completamente a mio agio. Lui stava là, noi stavamo qui. Inchini, saluti, presentazioni, tutto molto nipponico. Si è scusato per non aver risposto alla mia email, dicendo che ne riceve centinaia dall’estero e che le cestina tutte senza nemmeno leggerle (sic!). Poi mi ha chiesto per quale motivo ero in Giappone e gli ho risposto che sono qui per studiare il Seitai con Onizuka sensei. “Umm...”.
Dove pratico l’aikido e in quale scuola? Pratico l’aikido del Maestro Tsuda. Smorfia un po’ stupita. Non deve aver mai sentito questo nome (Higuchi, ad occhio e croce, avrà 55 anni). Gli dico che Tsuda ha praticato con Morihei Ueshiba tra il 1955 e il 1969, anno in cui si è trasferito in Francia.
-  O.k, lei può assistere alla lezione.
-  Vorrei praticare, se possibile.
Mi squadra severo e un po’ sorpreso, poi a bruciapelo spara:
-  Lei è davvero pronto?
Dentro di me mi sono detto: “mamma mia...” ma ho risposto immediatamente:
-  Hai! Sì! Sono qui per questo.
Allora lui ha risposto che di solito non accetta MAI persone che si presentano così come ho fatto io, con una sola telefonata, ma che siccome mi sono dimostrato molto deciso e desideroso, posso partecipare. Contento ringrazio e mi preparo. Ci si cambia velocissimi sul posto, non c’é spogliatoio, le ragazze, due, dietro ad una tenda. Poi veloci su per la scala di ferro ed eccoci nel dojo... Sorpresa... è minuscolo! Forse 12 mq... E siamo una decina di praticanti. Saluti iniziali e l’allievo più anziano pratica con me una forma di tai sabaki come riscaldamento. Tanti movimenti uno dopo l’altro, ritmo sostenuto. Prima di ogni movimento ci si inchina rispettosamente esprimendo un reciproco apprezzamento con le parole “onegai shimasu”, alla fine si ringrazia “arigatoo gozaimashita”. Questo anche nelle altre scuole in cui ho praticato. Se non viene fatto per sola formalità, è una bella consuetudine.
All’inizio, come di solito mi succede, mi sento un po’ impacciato e principiante, poi man mano che la seduta avanza ritrovo il mio centro e la sicurezza. Pratichiamo in due gruppi. Cerco di eseguire i movimenti esattamente come li praticano loro. Non è facile farlo senza indurirsi e diventare un po’ brutali. Spesso ho riscontrato, qui e altrove, un uso eccessivo dei muscoli e della forza delle braccia. Mi pare inutile ed inappropriato.
Ad un certo punto comincio a respirare profondamente. Semplicemente respirando, tutto cambia. Le resistenze si sciolgono e gli altri praticanti cominciano a guardarmi con occhi diversi. Ho qualcosa da “dire”.
Higuchi mostra le tecniche tre, o al massimo, quattro volte. Sempre con lo stesso uke (il più avanzato) che è grande e piuttosto gentile. Il sensei, uomo di piccola statura e piuttosto asciutto. è molto forte ed efficace. Almeno, questo è quanto gli preme mostrare. Tuttavia la sua pedagogia, a parte il rigore e gli sguardi severi, mi sfugge. Si siede e, immobile, guarda. Non mi corregge e nemmeno mi rivolge la parola. Sento però che mi osserva continuamente. Mi chiedo anche se il suo atteggiamento così protetto non nasconda una forma di insicurezza. Umanamente non credo che imparerò nulla da lui anche se le tecniche sono interessanti. Nell’insieme, percepisco una certa durezza e un’atmosfera che stenta a scaldarsi nonostante il gran movimento a cui ci siamo chiamati. In questa scuola l’aikido praticato viene definito “tradizionale”. Di certo una lezione è davvero insufficiente per valutare appieno ma resta il fatto che alla domanda “Perché definirlo tradizionale?” non ho saputo dare né trovare risposta. L’aikido di Morirei Ueshiba o di Noriaki Inoue mi sembra così distante da quello che ho visto qui…
La seduta continua incessante. Tanto lavoro e spostamenti in suwari waza, sulle ginocchia. Ne uscirò dolorante e con il braccio sinistro un po’ malconcio per uno stritolamento ricevuto al polso durante un’immobilizzazione a terra. In ogni caso, ho potuto constatare che se si rimane distesi, svegli e con la testa vuota si può far fronte ad ogni durezza senza farsi male. Ma non c’é tempo per pensare.
Un giovane praticante, molto sicuro di sé e della sua tecnica, cerca in continuazione di mettermi in difficoltà. Ad un certo punto mi girano un po’ le scatole e, con molta determinazione, gli faccio sentire che senza sforzo posso fare quello che voglio di lui. Il suo atteggiamento cambia completamente.
Sembra che nessuno inspiri mai, in nessun frangente. E’ tutto un continuo espirare: “ei! ei! ei! ei!…”, un’ininterrotta tensione che si esprime in questi suoni gutturali e ripetitivi (lo sono tanto che finiscono per svuotarsi di ogni senso). Io, pur nella rapidità e nei tempi brevi che mi sono concessi, inspiro il più possibile. Cerco di dilatare l’inspirazione.
Durante kokyu ho, alla fine, l’allievo anziano mi blocca con forza ma “entro” senza difficoltà seguendo la respirazione. Lui cede come una pasta tenera. Non ha l’animo aggressivo. In certi momenti, ultimamente, mi sorprendo di me stesso e della facilità con cui riesco a fare alcune cose. Ma non è sempre così e, dopo una seduta come questa, so che molto può ancora approfondirsi. Ho anche la consapevolezza che, ancora, in certi frangenti, mi lascio prendere da una sorta di agitazione interiore di cui potrei benissimo fare a meno.
A seduta terminata, tutti gli allievi sono gentili e mi ringraziano dicendo di aver imparato molte nuove cose da me. C’è molta cordialità e li invito a passare a Milano, nel nostro dojo.
Anche Higuchi, giù in basso, mi dice di esser contento che io sia venuto. Aggiunge che posso tornare a praticare se lo desidero. Mi dice anche con una certa fierezza che Morihei Ueshiba ha dormito nella stanza a fianco, in occasione di un suo passaggio a Kyoto.
Per questa “iniziazione” sono invitato, anche se di solito, precisa, non è così. Dalla prossima lezione ovviamente dovrò pagare. Io so però che non tornerò da lui, ma lo ringrazio sinceramente di avermi accettato alla sua lezione.

Kyoto, 10 gennaio 2008                                                                                             (continua...)
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