giovedì 30 gennaio 2014

Aikido a Kyoto (5)

(continua..)


La seconda lezione con Yoko Ookamoto a cui ho potuto assistere si è svolta, sempre di mattina, in un dojo di Fushimi (in un centro per l’azione giovanile, Youth Action Center, nome appropriato per la maestra!). Fushimi è a pochi minuti di treno da Kyoto. Di fatto però l’agglomerato urbano non subisce interruzioni e se non lo avessi saputo in precedenza avrei creduto di trovarmi ancora in Kyoto. Scendo dal treno con Paul, un giovane colombiano alto e magro che vive qui con sua moglie, anch’essa praticante di aikido. Lui pratica da una decina di anni e mi accompagna gentilmente alla lezione. Arriviamo con un leggero ritardo… sudamericano. A dire il vero io lo ho atteso a lungo nel luogo dell’appuntamento e ad un certo punto credevo che non venisse più. La lezione sta iniziando e ho giusto il tempo di cambiarmi rapidamente. I ritardi non mi piacciono molto. Quando posso faccio in modo di avere sempre un certo margine di anticipo su tutto quello che faccio. E’ una questione di respirazione. Mi piace entrare nelle cose con un ritmo calmo senza sentirmi pressato dagli eventi. Questo mi consente anche di apprezzarli con maggiore pienezza. Ovviamente ciò comporta delle scelte e, a volte, si tratta di rinunciare a qualcosa per poter vivere a fondo qualcos’altro.
Come in questa occasione però, può succedere che le circostanze siano diverse da come si vorrebbe e bisogna saper agire in fretta. Senza peraltro perdere per strada la respirazione tranquilla…
Il dojo è più piccolo della sala del Budo Center e siamo in tanti. Molti di più dell’altra volta. Probabilmente perché oggi è sabato e le persone sono più libere dagli impegni lavorativi. Anche in questo caso, a occhio e croce, il numero di europei corrisponde al numero dei giapponesi. Ci sono però molte più ragazze giapponesi rispetto alla prima lezione.
Proprio in rapporto alla nazionalità dei presenti avviene un fenomeno curioso. Avevo avuto la stessa impressione durante la prima lezione. E’ come se gli europei cercassero di divenire e atteggiarsi in modo più giapponese dei giapponesi. Senza voler mettere in dubbio il sincero trasporto e la serietà di intenti che li motiva, ciò che ne risulta è un atteggiamento piuttosto ridicolo e a volte grottesco. E quasi sempre lontano da una spontanea naturalezza. Sembra quasi che la serietà sia considerare come sinonimo di un rigore austero e rispettoso. Eppure Yoko più di una volta ride e quando fa una battuta spiritosa solo una giovane giapponese si mette a ridere (mi confesserà in seguito di essersi zittita subito essendosi sentita l’unica a farlo…). C’è anche una giovane occidentale serissima che gode certamente della stima e dell’appoggio della maestra. E’ tutta compresa nel suo ruolo di ottima e responsabile allieva, osserva gli altri con un certo distacco, a volte da fuori, come un’assistente della maestra incaricata di una missione importantissima. Rido. Anch’io sono stato così! Almeno per un po’… Ma oggi so che non è necessario passare per di lì. In ogni caso non per tutti.
Ho praticato con lei una delle tecniche che ci sono state proposte. Non ha mai sorriso… Neanche una volta! “E ridi!” mi dicevo e facevo di tutto per strapparle un po’ di emozione. Niente, nulla che trasparisse, nessuna faglia, nessuna vulnerabilità. Solo, ogni tanto, qualche sospiro intrattenibile e una leggera agitazione respiratoria la tradivano vigliaccamente.
Perché? Perché ci incanaliamo in sentieri che ci fanno perdere tanto tempo prezioso?
Ho lasciato cadere ogni ulteriore tentativo di sciogliere quel grazioso ghiacciolo con cintura nera dicendomi che ognuno di noi deve comunque fare i conti con i propri limiti e le proprie durezze. E che, se non li ascoltiamo, gli altri che ci stanno attorno possono ben poco. Sebbene, con costanza, ci bombardino di informazioni e indicazioni interessanti. Tuttavia, ne sono convinto, il cambiamento è possibile per tutti e a qualunque età. Questione di apertura e di desiderio… E di speranza.
Non tutti gli occidentali presenti erano altrettanto ingabbiati in un’etichetta “nipponically correct”. Con alcuni di loro ho avuto scambi e contatti anche piuttosto calorosi e nell’insieme mi è piaciuto partecipare ad una classe così eterogenea e mista. Mi ha riportato indietro ai tempi dell’infanzia, a quando andavo all’ International school of Milan. Lingue diverse che si incrociano, corpi e volti dai tratti e dalla storia geograficamente lontana. E’ bello in queste situazioni perché ci si sente un po’ unici, rappresentanti di un paese, di una cultura, di una lingua. Eppure, siamo unici, anche se spesso lo dimentichiamo. Un contesto culturalmente variegato, dove ogni cosa ha il sapore della diversità, ci ricorda questa unicità e ci invita a coltivarla. E’ il bello dei viaggi non troppo organizzati, nei quali si corre il rischio dello spaesamento e ci si espone al cambiamento. Paradossalmente, proprio in queste occasioni, abbiamo l’occasione di riappropriarci o almeno di riavvicinarci alle nostre radici. Di ritrovare la nostra casa e di amarla.
E i giapponesi in questo contesto che fanno? Si comportano in modo molto diverso dagli altri giapponesi che avevo incontrato nelle lezioni precedenti (quelle di Higuchi e di Takahashi). Lì, dopo avermi osservato e “misurato”, si erano tutti dimostrati aperti e curiosi rispetto al mio aikido, in un certo qual modo desiderosi di apprendere del nuovo e dell’esotico. Qui invece… si difendono. Difendono la loro unicità nipponica, sembra che si sentano tenuti a farlo, a dimostrare che loro sì sono veri giapponesi e non questa massa invadente di gaigin, di cittadini stranieri. Praticano quindi silenziosamente e ostentando sicurezza. A volte anche con una certa durezza. Riflettono l’immagine di colui che crede di detenere una conoscenza e un “know how” irraggiungibile per lo straniero. L’immagine classica del giovane budoka giapponese a volte un po’ rigido e presuntuoso. L’immagine che Itsuo Tsuda ha messo in discussione e ribaltato, con il suo lavoro e i suoi scritti che tanto ci hanno parlato di una cultura e di una pratica accessibile per tutti (anche per noi occidentali, sì, ma prima di tutto uomini). In questo, Itsuo Tsuda è stato un grande precursore ed ha aperto una strada che pochi altri giapponesi hanno saputo percorrere finora.
Per le giapponesi il discorso è diverso. Ah, donne, quanto siete, come sempre, più aperte, più curiose, più vive, più sensibili, più simpatiche! Con le praticanti che ho incontrato qui a Fushimi il ki passa molto di più che con gli uomini. In alcuni casi “bevono a grandi sorsi” il mio aikido così diverso da quello a cui sono abituate. Lo fanno con semplicità e allegria. Sento che ne hanno sete e mi piacerebbe avere il tempo di insegnare loro qualcosa. Ma anche il poco che può passare in questi brevi frangenti di pratica forse lascerà qualche traccia viva e avrà un senso nel loro percorso e nelle loro ricerche.

Sulla lezione di Yoko Ookamoto non ho molto altro da aggiungere. Si svolge un po’ come la prima a cui ho partecipato, con lo stesso slancio, la stessa metodicità, lo stesso impegno. Siamo in molti per cui, in certi frangenti, ci divide in due gruppi. Bisogna saper padroneggiare bene le cadute e i tempi perché gli spazi sono piccoli e non c’è molto tempo per riflettere. Ad un certo punto, mentre la metà del gruppo sta praticando kokyu nage (tecnica che prevede una caduta in avanti) lei prende ad uno ad uno tutti quelli che stanno seduti in fila ad assistere e li proietta a destra e sinistra, in uno spazio esiguo. Quattro cadute per ciascuno, energiche ma rilassate, senza esitazione possibile. Perché sprecare tempo in un’attesa inutile? C’è fluidità nel suo movimento ed è un piacere vederla. Lo farò anch’io, prima o poi. Quando saremo in tanti.
Alla fine del corso mi fermo a parlare con un francese e perdo di vista Yoko Ookamoto. Quando la cerco è troppo tardi e lei se ne è già andata. Non ho quindi avuto il tempo di salutarla. Chiedo a Paul di farmi la cortesia di ringraziarla da parte mia, di farle avere i 1000 yen (circa 6 euro, quota prevista per i praticanti in visita) che le devo e di farle sapere che quando tornerò a Kyoto in agosto intendo praticare ancora con lei.



Milano, 18 e 19 gennaio 2008                                                                 (continua…)

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